Elizabeth von Arnim, Elizabeth a Rügen

Elizabeth von Arnim, The Adventures of Elizabeth in Rügen, pubblico dominio. Pubblicazione originale 1904.

Il mio incontro con Elizabeth von Arnim è stato casuale, ma questo incontro casuale, che probabilmente non sarebbe mai avvenuto in maniera volontaria, ha fatto nascere un amore solido e duraturo.

Con Elizabeth a Rügen (questo il titolo dell’edizione italiana, pubblicata da Bollati Boringhieri) sono arrivata al settimo libro letto di questa autrice, e ne ho già altri pronti ad aspettarmi. I suoi libri in lingua originale sarebbero disponibili gratuitamente su Project Gutenberg se il sito non fosse stato oscurato in Italia, ma potete comunque trovarli su altri siti che offrono libri di pubblico dominio per il download gratuito.

Elizabeth decide di fare un viaggio sull’isola di Rügen, nel nord della Germania, un luogo molto amato dai turisti. Vorrebbe girarla a piedi, ma non trova amiche disposte ad accompagnarla e, per le convenzioni sociali dell’epoca, andare da sola sarebbe del tutto inaccettabile. Decide così di girarla in carrozza con il fido August e la domestica Gertrud. Il suo intento è quello di scrivere una sorta di guida turistica, ma ben presto il libro finisce per diventare qualcosa di completamente diverso, quando la donna incontra casualmente la cugina Charlotte, che non vedeva da dieci anni. Così alle descrizioni dell’isola, dei villaggi, dei paesaggi e delle locande, si intreccia quella delle avventure vissute insieme a Charlotte.

La massima aspirazione di Elizabeth (in questo come in altri libri dell’autrice) sarebbe quella di trascorrere del tempo in solitudine a godere delle bellezze del paesaggio e, sostanzialmente, a riposarsi dalle fatiche di moglie e madre. Purtroppo Charlotte decide di unirsi a lei e non la lascerà per un minuto. Elizabeth ha inoltre la sfortuna di incontrare una coppia di turisti inglesi composta da una signora, moglie di un vescovo anglicano, e suo figlio Brosy. I due inevitabilmente si attaccano a lei proprio come la cugina, ed ecco che l’agognata tranquillità va a farsi benedire.

Charlotte è un personaggio bizzarro per l’epoca: una donna tedesca che ha studiato a Oxford, un’intellettuale che ha sposato un famoso professore di quarant’anni più anziano, il quale però è più attratto dalla bellezza della giovane moglie che dalle sue capacità intellettive. Soffocata in un matrimonio rivelatosi il contrario di quello che sperava, Charlotte scopre il femminismo e diventa autrice di pamphlet in cui rivendica a gran voce l’emancipazione femminile, pur mostrando enormi contraddizioni nella vita quotidiana. Si trova a Rügen da sola dopo essere praticamente scappata dal marito, e decide così di accompagnare la cugina Elizabeth nel suo viaggio.

Come spesso accade nei libri di questa autrice, grande importanza rivestono le riflessioni argute di Elizabeth, donna che pur sembrando conformarsi alle aspettative della società tedesca dell’epoca, tuttavia risulta più emancipata di quanto si potrebbe pensare, tanto che appunto decide di intraprendere questo viaggio da sola, senza la sua famiglia. Elizabeth vuole tranquillità, vuole stare lontana dalle preoccupazioni quotidiane e godersi un viaggio per conto suo, ma dopo l’incontro con la cugina purtroppo non potrà più farlo.

Il libro è pervaso da una sottile ironia, da molta arguzia, ed è di fatto divertente e dispensatore di molti sorrisi. Molti dei libri di von Arnim sono così. L’umorismo di questa autrice è caratteristico e peculiare, ed è quello che rende tanto godibili i suoi libri, oltre alla supposta leggerezza che però quasi sempre nasconde riflessioni e problematiche più profonde.

I libri di von Arnim, perlomeno quelli che ho letto finora, non sono mai capolavori, ma sono piacevolissimi da leggere e come sempre li consiglio caldamente, anche se so che non tutti li apprezzano, perché purtroppo molti si fermano al piano superficiale e li trovano troppo leggeri. Un approccio che consiglio è quello di guardare oltre la leggerezza e cercare di leggere anche quello che l’autrice non esplicita del tutto; pur senza far diventare preponderante questo tipo di lettura, ma anzi continuando a godere della scrittura lieve di von Arnim.

Aldo Busi, La camicia di Hanta

Aldo Busi, La camicia di Hanta, BUR.

Finora avevo letto un solo libro di Aldo Busi, una quindicina di anni fa credo, e non mi era piaciuto neanche un po’. Ho pensato però che questo, essendo un diario di viaggio, potesse rivelarsi interessante… e ho sbagliato clamorosamente! Prima di tutto è difficile definirlo diario di viaggio: sì, nasce dagli appunti presi da Busi durante il suo viaggio in Madagascar, ma del Madagascar parla assai poco, più che altro è un viaggio intorno al suo ombelico, e del resto è sbagliato a prescindere aspettarsi qualcosa di diverso da un personaggio ego-centrato come Busi. Apparentemente quello che Busi riesce a descriverci del Madagascar è solo il peggio, in particolare la povertà estrema e la prostituzione minorile. Parentesi di luce: Hanta, una ragazza bellissima che confeziona una camicia per l’autore.

Ho letto una recensione in cui si afferma che questo libro sarebbe una satira sul turismo di massa. In un certo senso può anche essere così, se consideriamo che l’autore incontra un sacco di turisti che sono proprio l’emblema del turismo massificato da villaggio turistico. Fra tutti, la coppia di italiani che fa mille milioni di foto che così potrà riguardarsi tornando a casa. Premesso che non c’è niente di sbagliato nel fare foto quando si viaggia, il punto è che uno dovrebbe anche godersi le esperienze nel momento in cui le sta vivendo e non solo immortalarle in foto ricordo. Letta questa recensione ho proseguito la lettura del libro con uno sguardo diverso, ma resta il fatto che l’ho odiato profondamente.

Il recensore citato dice che questo libro non è adatto a chi cerca un “panegirico romanticista sull’Africa”. Io non cercavo sicuramente niente del genere, solo un resoconto onesto su un viaggio in un paese di cui non so niente. Un resoconto che poteva certo farmi vedere il brutto del paese, poiché ce n’è, ma che facesse anche vedere cosa invece c’è di bello. Invece, lo ripeto, questo è solo un resoconto di Aldo Busi su Aldo Busi.

Paolo Zambon, Inseguendo le ombre dei colibrì

Paolo Zambon, Inseguendo le ombre dei colibrì, Alpine Studio, Lecco 2017.

Paolo Zambon è un programmatore informatico italiano che vive in Canada, a Vancouver. Ha intrapreso vari viaggi in tutti i continenti in sella al suo scooter e questo è il diario del suo viaggio dagli Stati Uniti al Messico e in tutta l’America Centrale insieme alla sua compagna Lindsay.

A settembre 2014 Paolo e Lindsay si mettono in viaggio: prima saranno accompagnati in furgone alla frontiera col Messico e da qui si metteranno in viaggio per otto mesi in sella allo scooter.

Zambon dedica una grossa fetta della sua cronaca di viaggio al Messico, in cui ha trascorso tre mesi, e passa poi a narrare delle sue avventure in Guatemala ed El Salvador, lasciando purtroppo fuori dal suo resoconto gli altri paesi dell’America Centrale attraversati. È vero che se li avesse inclusi il libro sarebbe diventato davvero troppo lungo, dato che risulta già abbastanza prolisso con le sue 322 pagine. Tuttavia resta un peccato che le avventure di Paolo e Lindsay negli altri paesi siano state escluse, ma chissà che non se ne possa parlare in un prossimo libro.

L’autore dimostra di essersi documentato approfonditamente prima del suo viaggio, che dunque è sì un’avventura, ma un’avventura informata, lontana dal turismo di massa, si tratta piuttosto di un vero viaggio di immersione nella cultura dei luoghi visitati. Zambon narra infatti, accanto alla bellezza dei luoghi visitati e agli interessanti incontri fatti, anche la storia remota e soprattutto recente di questi paesi. Certo, non è un libro di storia e tantomeno ambisce a esserlo, ma dona comunque al lettore una cornice in cui inserire il viaggio di cui sta leggendo.

Per cui seguiamo Paolo e Lindsay in luoghi bellissimi ma difficili, che molto spesso sono purtroppo dominati dai narcos e dalla criminalità. Se devo fare un appunto all’autore è proprio quello di incentrare molto il suo racconto su criminalità e narcos, tanto che a volte la bellezza paesaggistica, storica e culturale sembra passare in secondo piano. Tuttavia, vista la mia totale ignoranza della situazione dell’America Centrale, è possibile che in questi paesi la criminalità sia talmente radicata da non rendere possibile un altro tipo di narrazione. Purtroppo devo ammettere di non saperne molto, anzi.

Nel loro viaggio Paolo e Lindsay incontrano personaggi davvero speciali e vengono a conoscenza di storie molto spesso commoventi, ad esempio di persone che hanno cercato di entrare illegalmente negli Stati Uniti (a questo proposito ho trovato davvero toccante l’incontro finale), o persone che facevano parte delle gang e si sono pentite. Un caleidoscopio di personaggi, vicende, storie e immagini che rende potente questo diario di viaggio.

Un altro appunto tuttavia riguarda il fatto che il libro soffre della mancanza di un correttore di bozze professionale, che si sente chiaramente durante tutta la lettura: molti i refusi e gli errori di punteggiatura, con qualche vero e proprio errore grammaticale qua e là. Un peccato.

Infine, una nota di merito per la casa editrice Alpine Studio, che non conoscevo e che mi è piaciuta molto: si dedica principalmente ai libri sulla montagna e alla letteratura di viaggio e ha in catalogo dei titoli davvero interessanti. Da tenere d’occhio.

Roald Amundsen, The South Pole

Roald Amundsen, The South Pole. An Account of the Norwegian Antarctic Expedition in the “Fram,” 1910 — 1912 (tit. originale Sydpolen. Den norske sydpolsfærd med Fram 1910 – 1912), pubblico dominio. Traduzione dal norvegese di A. G. Chater.

A quanto ne so questo libro non è stato tradotto in italiano, ma la traduzione inglese è scaricabile gratuitamente da Project Gutenberg, in quanto di pubblico dominio. Purtroppo l’ebook è fatto parecchio male, soprattutto verso la fine, con errori di battitura e frasi che si ripetono e si interrompono a metà. Cosa che, devo dire, è la prima volta che mi succede con gli ebook di Project Gutenberg, che di solito sono ben fatti. Inoltre, in questo caso si avverte la mancanza delle illustrazioni, soprattutto nella parte finale dove a queste illustrazioni, presenti nell’originale, si fa costante riferimento.

Si tratta del resoconto, scritto dall’esploratore norvegese Roald Amundsen, della sua spedizione in Antartide a bordo della nave Fram. Amundsen, insieme ai suoi compagni, fu il primo ad arrivare al Polo Sud. Prima di lui Shackleton era riuscito ad arrivare a 88° S, a soli 180 km dal Polo, ma fu costretto a tornare indietro.

La storia di questa impresa è assai particolare. Amundsen aveva previsto e organizzato una spedizione per conquistare il Polo Nord, ma Robert Peary vi arrivò (nel 1909) prima che Amundsen potesse salpare. Ufficialmente la spedizione di Amundsen avrebbe dovuto essere esplorativa, perciò sarebbe potuto partire ugualmente, ma è evidente che all’esploratore stava più a cuore battere il record che l’esplorazione scientifica. Così decise di dirigersi verso il Polo Sud, ma lo fece in gran segretezza, tanto che non solo il pubblico, ma perfino i membri dell’equipaggio, ad eccezione del capitano della Fram, non sapevano che la direzione fosse quella. Solo una volta fatta tappa a Madeira Amundsen rivelò la vera direzione della propria spedizione. 

Il viaggio ebbe luogo dal 1910 al 1912 e fu concluso con successo. Non fu privo di base scientifica, infatti gli ultimi capitoli del libro danno la parola a vari esperti che parlano delle scoperte meteorologiche, oceanografiche, geologiche ecc. fatte dagli esploratori in Antartide e nell’Oceano Atlantico. Vale a dire che gli ultimi capitoli sono piuttosto pesanti, nonché incomprensibili per le persone non addette ai lavori, ma il resto del libro è interessantissimo. Ciò non toglie però che la lettura proceda lenta, perché a tratti un po’ pesante nonostante il grande interesse.

Amundsen racconta dettagliatamente la preparazione del viaggio, il viaggio sulla Fram, l’arrivo in Antartide, la conquista del Polo Sud. Tanto dettagliatamente che il cartaceo conta 500 pagine. Nonostante la verbosità, il viaggio di Amundsen riveste un grande interesse per chiunque sia interessato alle esplorazioni, all’Antartide o più in generale alle regioni polari.

La cosa che più mi ha colpito è che, arrivati al Polo Sud, Amundsen e i suoi compagni non provano l’emozione che si sarebbero aspettati di provare. Naturalmente sono fieri dell’impresa compiuta, ma dopotutto il Polo Sud non è diverso dal resto dell’Antartide… Ma soprattutto mi ha colpito il fatto che Amundsen si sente, ed è, letteralmente dall’altra parte del mondo rispetto a quello che era il suo sogno. L’esploratore sognava infatti, e da sempre, di essere il primo ad arrivare al Polo Nord, ed eccolo ora invece al Polo Sud! Sebbene sia certamente orgoglioso di questo suo successo, l’amarezza si sente comunque nelle sue parole, anche se cerca di mascherarla.

La storia dei preparativi è decisamente noiosa e sembra più un ringraziamento pubblicitario ai suoi sponsor. La storia del viaggio in nave nell’oceano non è entusiasmante, ma racconta dettagli della vita sulla Fram che sono curiosi da leggere, come ad esempio cosa mangiavano a bordo, come si comportavano, come osservavano le feste comandate. Certamente però, e inevitabilmente, la parte più interessante è quella che compone il nucleo del libro, ovvero la storia della permanenza in Antartide e della conquista del Polo Sud. Amundsen e i suoi compagni trascorrono l’inverno in quella che chiamaranno Framheim, che sarà dunque la loro base per tutta la stagione, e in cui parte della compagnia trascorrerà un intero anno, dato che non tutti parteciperanno alla spedizione fino al Polo.

La spedizione in terra antartica non è certo priva di pericoli, anzi i tantissimi incontri con i molti spaventosi crepacci fanno venire i brividi, ma Amundsen e compagnia, a quanto dice lui, affrontavano tutto con il sorriso sulle labbra e la loro voglia costante di ridere, scherzare e soprattutto andare avanti è davvero piacevole da leggere. Ho il sospetto che nella realtà le cose siano andate un po’ diversamente: immagino che non siano mancati sconforto, paura e perfino terrore di fronte a tutte le avversità e i pericoli. Naturalmente l’autore tende a romanzare un po’ l’avventura e a mostrarla tutta sotto una luce rosea che difficilmente può corrispondere a verità. Tuttavia ciò non rende il libro meno interessante.

Qui trovate una breve pagina su Roald Amundsen e nel sito troverete altre informazioni sugli altri esploratori polari. Invece se conoscete l’inglese, oltre a consigliarvi di leggere questo bel libro, vi raccomando questo sito interamente dedicato al Polo Sud, dove c’è un’ottima e dettagliata pagina sull’esploratore Roald Amundsen.

Gavin Francis, True North. Travels in Arctic Europe

Gavin Francis, True North. Travels in Arctic Europe, Birlinn Limited, Edinburgh 2011.

Questo libro, purtroppo non tradotto in italiano, è stato pubblicato per la prima volta in Scozia nel 2008, ed è il resoconto del viaggio che Gavin Francis ha fatto nella zona artica dell’Europa. Di Francis in Italia è stato pubblicato il libro Avventure nell’essere umano.

Gavin Francis è un medico scozzese che, lavorando in Africa, decide di non poterne più dei Tropici e inizia a pensare a un ipotetico viaggio nell’Artico. Questo viaggio diventerà ben presto realtà, e lo condurrà nelle Shetland, nelle Fær Øer, in Islanda, in Groenlandia, alle Svalbard e in Lapponia. Francis si sposta in aereo o, quando possibile, in nave da una nazione all’altra, mentre all’interno delle singole nazioni preferisce spostarsi facendo l’autostop, perlopiù.

Francis ha letto molte storie di autori, dell’antichità o moderni, che hanno viaggiato nell’Artico europeo, da Pitea a Karel Čapek, passando per Linneo e San Brendano. Ha letto anche molte saghe, soprattutto islandesi, come ad esempio la Egils saga. Il suo intento è seguire le tracce di questi autori, visitando i luoghi da essi visitati, e tenendo sempre a mente le saghe. Naturalmente il viaggio di Francis è più libero di così, nel senso che non si limita a seguire pedissequamente le orme degli autori del passato, ma compie anche dei giri per conto suo.

La narrazione dei viaggi di Francis si alterna nel testo alle narrazioni di questi autori e alle saghe, di cui l’autore ci dà un riassunto in più parti. Veniamo dunque a sapere come questi autori hanno “scoperto” queste terre, come vi sono arrivati, cosa hanno visto, e parallelamente scopriamo cosa ha visto Francis, chi ha conosciuto, cosa ha fatto. Le descrizioni storiche si alternano così a quelle di viaggio, naturalistiche, sociologiche, ambientaliste, umane.

All’autore queste terre sono entrate nel cuore, perciò è molto interessato alla loro sorte e, di conseguenza, all’impatto che il cambiamento climatico ha su di esse. Ci informa ad esempio che si stima che nel 2080, fra solo poco più di sessant’anni, in estate non ci sarà ghiaccio nell’Artico: una prospettiva inquietante a dir poco.

Allo stesso tempo ci narra scene di vita quotidiana in queste zone, come ad esempio il fatto che alle Svalbard in tutti i luoghi chiusi (case, negozi, chiese, ecc.) sia necessario togliersi le scarpe all’ingresso e riporle in un’apposita scarpiera situata vicino alla rastrelliera per i fucili. Fucili che devono sempre essere portati con sé per pericolo di incontrare gli orsi polari. Oppure ci parla della vita quotidiana dei Sami, ad esempio quelli che vivono al confine fra nazioni (Norvegia, Svezia, Finlandia, Russia, le quattro nazioni che ospitano questa popolazione nella sua terra, la Lapponia) e vanno a lavorare in uno Stato diverso. Un po’ incomprensibile per una persona che viene da un’isola come la Gran Bretagna, ma per noi sono semplicemente frontalieri.

Ancora, l’autore ci parla delle conseguenze della modernizzazione in posti tradizionalmente “selvaggi” dal punto di vista naturalistico: per esempio, ci dice che la costruzione di strade e tunnel nelle Fær Øer, lungi dal favorirne lo sviluppo, ha portato a una fuga della popolazione da queste isole. Oppure ci racconta come la costruzione di condomini e la “danesizzazione” fatta dai danesi in Groenlandia sia stata un disastro per la popolazione locale.

Ci parla degli innumerevoli uccelli presenti nelle Fær Øer e nelle Shetland, uccelli di cui io non ho capito nulla perché non conosco i nomi italiani, figuriamoci quelli inglesi. Ma ci racconta anche del luogo in Groenlandia dove c’è un ufficio addetto a rispondere alle lettere scritte dai bambini di tutto il mondo a Babbo Natale, ma anche del “vero” villaggio di Babbo Natale a Rovaniemi, nella Lapponia finlandese.

Il tutto è corredato da bellissime foto, che purtroppo in ebook sono molto ma molto meno belle (anche perché su un normale Kindle sono in bianco e nero), ma che per fortuna si possono trovare sul sito dell’autore.

Consigliato se vi piacciono i libri di viaggio e in particolare se vi interessa la zona dell’Artico.