Karin Boye, Kallocaina

Ho letto che Karin Boye è considerata una delle più grandi scrittrici svedesi e che in patria è una specie di mito della letteratura. Purtroppo questa fama non pare aver oltrepassato i confini nazionali e, seppure questo libro sia stato tradotto in diverse lingue, non ha tuttavia il successo che meriterebbe (almeno in Italia, dove è ormai fuori catalogo da anni). Invece dovrebbe, a mio parere, essere molto più conosciuto e apprezzato, perché non ha nulla da invidiare ad altre distopie più famose come Noi di Evgenij Zamjatin, Il mondo nuovo di Aldous Huxley e 1984 di George Orwell. In particolare, quest’ultimo è stato scritto qualche anno dopo Kallocaina, ma già nel romanzo di Karin Boye troviamo nelle case l’occhio e l’orecchio della polizia.

Ci troviamo in uno Stato distopico chiamato Stato Mondiale, che ricorda molto da vicino gli Stati totalitari comunisti. In questo Stato, la comunità/Stato è tutto, l’individuo è niente: «Il singolo non era che una cellula senza altro scopo che servire la totalità dell’insieme». L’individuo deve conformarsi al pensiero corrente: «La cosa più importante è la capacità di abbandonare il proprio punto di vista per abbracciare quello giusto». Niente è privato (grazie anche all’occhio e all’orecchio della polizia di cui parlavo sopra, che sono presenti in tutti gli edifici), tutto è e deve essere pubblico: «Da pensieri e sentimenti nascono parole e azioni. Come possono, dunque, pensieri e sentimenti essere una questione privata? Non appartiene ogni soldato interamente allo Stato? E a chi dovrebbero appartenere allora pensieri e sentimenti, se non allo Stato?» Da notare, quando si parla di “soldato”, che tutti gli abitanti dello Stato Mondiale sono soldati e a questo sono addestrati e abituati fin da piccoli.

All’interno di questo Stato Mondiale, siamo nella Città Chimica N. 4, dove abita Leo Kall insieme alla moglie Linda e ai loro tre bambini. Kall è un chimico e ha inventato un siero della verità che chiamerà kallocaina. Nel libro assistiamo alla sperimentazione del siero su cavie umane (prese dal Servizio Sacrificio Volontario, dove chi entra come volontario viene destinato a fare da cavia umana in esperimenti chimici di ogni genere) e poi alla successiva utilizzazione nello Stato Mondiale. Il siero sembra funzionare alla perfezione, tanto che renderà possibile l’introduzione della tipologia di crimini del pensiero: ogni cittadino potrà essere denunciato e sottoposto alla kallocaina, allo scopo di verificare la presenza di eventuali pensieri contrari allo spirito totalizzante e collettivista dello Stato Mondiale.

Non voglio dire più di questo per non rovinare la lettura, ma sappiamo fin dall’inizio che il libro è il diario di Leo Kall dalla prigionia. Solo alla fine scopriremo di che tipo di prigionia si tratti esattamente.

Come dicevo, questa è una distopia che nulla ha da invidiare alle altre distopie più famose e meriterebbe di essere ancora sugli scaffali delle librerie al loro fianco. È anche scritto molto bene e condensa in poche pagine un distillato di quella società distopica che vuole descrivere. Totalitarismo, comunismo collettivista portato agli estremi, plagio delle coscienze che non devono neppure pensare di contemplare qualcosa di diverso dal totale asservimento allo Stato. Un romanzo molto forte, eccellente. Ne consiglio la lettura a tutti e non solo agli appassionati del genere distopico.

Titolo: Kallocaina
Titolo originale: Kallocain
Autrice: Karin Boye
Traduttrice: Barbara Alinei
Casa editrice: Iperborea
Pubblicazione originale: 1940
Numero di pagine: 228

Louise O’Neill, Only Ever Yours (Solo per sempre tua)

Louise O’Neill, Only Ever Yours, Quercus, 2014.

Sconsiglio caldamente la lettura di questo libro a chiunque soffra di disturbi alimentari, e anche a chi ne abbia sofferto ma non senta ancora di esserne uscita davvero.

Il libro è così disturbante che all’inizio avrei voluto abbandonarlo, ma poi mi sono detta che il genere distopico è così e che la forte inquietudine che provavo era del tutto voluta dall’autrice. O’Neill vuole mettere a disagio il lettore e questi deve lasciarsi mettere a disagio se vuole apprezzare davvero questo libro.

Siamo in un mondo in cui le donne non nascono come gli uomini ma vengono create in laboratorio, dove trenta di loro si schiudono (l’autrice usa il verbo “hatch”) tutte insieme in una certa data. Sono tuttavia totalmente donne e non robot o androidi. Fin da piccolissime entrano nella Scuola, che insegnerà loro a essere sempre belle e attraenti, perché il loro unico scopo è essere scelte da dieci Eredi che ne faranno la propria compagna o concubina, a seconda del proprio gradimento e desiderio. Quelle che non saranno scelte né come compagne né come concubine diventeranno caste (“chastities”) e insegneranno nella Scuola, un po’ come delle suore.

Le ragazze protagoniste di questo libro sono tutte nel loro sedicesimo anno dalla data della loro creazione. Tutte hanno sia un numero che un nome, ma il loro nome non merita di avere l’iniziale maiuscola, tanto poco sono importanti se non come oggetto di soddisfazione degli uomini: soddisfazione sessuale (le concubine) e generatrici di figli maschi (le compagne).

Le ragazze vivono in un mondo vacuo che più non si potrebbe: nella Scuola imparano a truccarsi, a vestirsi bene, ad essere attraenti sempre e comunque, insomma a essere un buon oggetto di soddisfazione per gli uomini che le sceglieranno. Piangere è vietato perché il pianto fa venire le rughe e fa diventare brutte. Sono state create perfette ma “c’è sempre un margine di miglioramento”, perciò passano il tempo a cercare di diventare sempre migliori. Ci sono rivalità fra di loro perché ognuna vuole essere la prima nella classifica delle più belle, ognuna vuole essere la più magra, la più bella, la più attraente, la meglio vestita. Ci sono anche quelle amicizie fortissime tipiche dell’adolescenza, come quella fra la protagonista-narratrice freida e isabel. Insomma, sono ragazze in tutto e per tutto.

Importantissimo anche il ruolo della tecnologia e in particolare dei social network, principalmente MyFace, dove tutte postano foto e status, ma solo come messaggi vocali perché le ragazze non sanno né leggere né scrivere. MyFace, ePad, eFone, Fotogram… forse questi nomi vi ricordano qualcosa.

Iniziando nella lettura di questo romanzo il pensiero non può che andare a Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood: ci sono certamente somiglianze tra i due libri (le donne concepite solo come soddisfazione del piacere maschile) ma sono comunque molto diversi, sebbene sulla stessa falsariga. Quello di O’Neill è un libro che si concentra sull’ossessione femminile per la perfezione, qui chiaramente imposta dall’alto e inculcata nelle donne fin da bambine. È inoltre uno young adult, ma di quelli che possono essere tranquillamente letti anche dagli adulti. C’è l’amore, ci sono protagoniste adolescenti, ma un adulto non si annoierà di certo leggendo questo romanzo, che è in grado di parlare perfettamente anche a una persona molto più grande di quanto non sia il classico pubblico di riferimento della narrativa young adult.

In conclusione, lo consiglio molto, ma dovete avere uno stomaco di ferro e, come dicevo all’inizio, non leggetelo assolutamente se voi stesse soffrite di disturbi alimentari o di qualunque problema vi porti a desiderare di essere sempre perfette. Perché vi farebbe stare malissimo. In tutti gli altri casi, armatevi di coraggio, lasciatevi mettere a disagio e leggetelo, perché è un libro eccezionale.

In Italia è stato pubblicato dalla casa editrice Il Castoro come Solo per sempre tua, con la traduzione di Anna Carbone. Qui potete leggere la recensione di Eleonora Caruso su Wired.

S. Fowler Wright, The Adventure of Wyndham Smith

S. Fowler Wright, The Adventure of Wyndham Smith, pubblico dominio. Pubblicazione originale 1938.

Sydney Fowler Wright (1874-1965) è un autore inglese completamente misconosciuto, non solo in Italia ma anche nei paesi di lingua inglese. Pare che in vita abbia avuto alterni successi, tuttavia ha pubblicato moltissimi libri, di cui alcuni sono stati tradotti in altre lingue, fra cui almeno quattro in italiano (li trovate elencati qui, insieme a tutta la sua bibliografia). Ha scritto principalmente libri di fantascienza (in particolare dei sottogeneri distopico e post-apocalittico), ma anche diversi gialli, alcuni romanzi storici, racconti, poesie e qualche saggio, oltre a tradurre Dante.

Se è un autore ormai totalmente dimenticato, come mi sono imbattuta nei suoi libri? Semplice: una volta mi sono messa a spulciare un pochino Project Gutenberg Canada e questo titolo mi ha incuriosito.

The Adventure of Wyndham Smith, noto anche come Wyndham Smith: His Adventures in the 45th Century, è ambientato nel lontano futuro, appunto nel 45° secolo. In questo distante futuro, l’umanità ha praticamente raggiunto la perfezione: non ci sono più guerre, conflitti, malattie, ma neanche emozioni. Come sappiamo, la perfezione non è mai realmente tale, anzi molto spesso è proprio il contrario di quella che poteva essere l’intenzione originaria. Quindi i cinque milioni di persone rimaste vivono in un mondo amorfo, piatto, per nulla interessante, del tutto de-vitalizzato. Figuratevi che non ci sono più nemmeno le stagioni e sono stati sterminati quasi tutti gli animali. Come dicevo, sono le emozioni che mancano, principalmente: quindi non solo quelle negative, ma anche quelle positive.

In tutto questo, Wyndham Smith, un simpatico studente di medicina del 20° secolo, viene portato in questo futuro distopico e “alloggiato” nel corpo di Colpeck-4XP (non ci sono più neanche i nomi in questa società). Il passaggio mi è risultato un po’ fumoso, così come alcune altre parti del romanzo, sebbene la storia sia comunque abbastanza chiara.

Arrivato in questa società “all’avanguardia”, Wyndham Smith/Colpeck-4XP si trova di fronte alla necessità di dire la sua in un’importantissima decisione: si è deciso, praticamente all’unanimità, di porre fine alla razza umana, per mostrare al Creatore la futilità di tutto. Sì, non ha molto senso, ma nel libro è spiegato un po’ meglio; ovviamente resta una follia allo stato puro. Wyndham/Colpeck è l’unico a esprimere un voto contrario, prendendo alla sprovvista il Consiglio: in teoria, il mancato raggiungimento dell’unanimità avrebbe dovuto significare rinunciare al proposito, in pratica però si decide di andare comunque avanti, lasciando Wyndham al suo destino, che sarà probabilmente molto breve.

Inaspettatamente, una donna decide di seguire la decisione di Wyndham, ma non potrà farlo apertamente perché non le sarebbe permesso. A Wyndham è stato consentito solo perché non era più davvero il Colpeck originario, ma solo un “primitivo” trasportato in un corpo contemporaneo.

Il libro è la narrazione di come i due cercheranno di perseguire il loro scopo: Wyndham apertamente e Vinetta nella segretezza più completa. (A proposito, Vinetta è l’unica ad avere un nome anziché un codice, per motivi che verranno spiegati nel romanzo).

È un libro interessante e molto bizzarro; purtroppo, come dicevo, è un po’ fumoso e confuso in alcune parti, quindi non lo posso promuovere a pieni voti, però l’ho trovata una lettura piacevole e interessante, sia da un punto di vista storico che dal punto di vista strettamente letterario e di intrattenimento.

Forse un giorno approfondirò la conoscenza di questo dimenticato emulo di H.G. Wells.

Alcuni link per approfondire:

  • I libri di S. Fowler Wright su Faded Page, altro sito canadese di ebook di pubblico dominio (come dicevo, ce ne sono anche su Project Gutenberg Canada)
  • Un sito interamente dedicato a S. Fowler Wright, dalla grafica orribile ma dal contenuto piuttosto interessante
  • I libri cartacei di S. Fowler Wright, per chi ama la carta (non ho capito se spediscono anche in Italia, però)
  • La pagina dedicata all’autore su The Encyclopedia of Science Fiction (interessante e completa)

E.M. Forster, La macchina si ferma

E.M. Forster, The Machine Stops, pubblico dominio. Pubblicazione originale 1909.

Conosciamo E.M. Forster per romanzi come Casa Howard o Camera con vista. Ha scritto vari altri libri, ma pochi di noi lo associerebbero alla fantascienza. Eppure, nel 1909 ha dato alle stampe questo racconto fantascientifico di appena una cinquantina di pagine (pubblicato in italiano da Portaparole con il titolo La macchina si ferma e da Mondadori nella raccolta La macchina si ferma e altri racconti).

Avevo scaricato l’ebook gratuito diverso tempo fa, ma era rimasto a prendere polvere e devo dire che prenderlo in mano in questo periodo fa un effetto particolarmente straniante.

La prima cosa da fare nell’approcciarsi a questo racconto è tenere presente che è stato scritto più di un secolo fa. Il problema della fantascienza “d’annata” è che rischia di invecchiare male, quindi va letta tenendo a mente che si tratta di un testo scritto molti anni fa, altrimenti rischiamo di annoiarci o anche di ridere di certe invenzioni e previsioni. In effetti, l’inizio è stato un po’ così anche per me, ma è durata veramente poco perché questo racconto di Forster è profetico in maniera allucinante.

Tutto ruota intorno alla famigerata “macchina”, che comanda il mondo, anche se gli abitanti di questo mondo non la metterebbero così. La macchina rende tutto molto comodo (e infatti nel corso del racconto Forster dirà che è stato il troppo desiderio di comfort a rovinare la civiltà) e la gente dà per scontate tutte queste comodità: mai si sognerebbe di mettere in discussione qualche aspetto della propria confortevole vita. Così, quando Vashti riceve la videotelefonata del figlio Kuno che le chiede di vedersi di persona, rimane abbastanza sconcertata. Lo sconcerto prosegue, lasciando spazio al terrore e all’assoluta mancanza di comprensione, quando Kuno esprime il desiderio di salire sulla superficie della Terra per vedere come sono le cose lì. Infatti le persone vivono sottoterra perché l’aria terrestre non è più respirabile per loro.

La vita di queste persone è fatta di videochiamate, migliaia di amici con cui conversare, ricerca di non meglio precisate “idee” da condividere, pulsanti da premere per avere soddisfatto qualsiasi desiderio, dal cibo all’intrattenimento a tutto ciò che sta nel mezzo, conferenze su argomenti ormai lontanissimi e ininfluenti sulla vita di ciascuno (ma cosa potrebbe interessare a queste persone della rivoluzione francese?!).

Ci vedete qualcosa di attuale, immagino, no? Non è certo da ora che siamo circondati dalla tecnologia, che ci rende ogni aspetto della nostra vita più comodo e semplice. Ma penso che in questo anno tutto questo sia aumentato a dismisura, e nella vita di Vashti e degli altri ho rivisto quello che sta succedendo in questo periodo. In particolare mi riferisco alla fasulla idea di connessione con gli altri, ognuno seduto alla propria poltrona, a scambiarci idee tramite internet, parlare su Skype, seguire corsi online… Niente di male in tutto questo, anzi le trovo cose meravigliose e credo che la tecnologia ci abbia permesso di vivere questa situazione in maniera meno dolorosa, ma è chiaro che l’estremizzazione non può essere positiva. Per cui, ecco che nel mondo di Vashti il contatto fisico non è neanche concepito se non come enorme mancanza di rispetto, anzi fa paura, così come spaventa uscire di casa e allontanarsi dalle comodità offerte dalla macchina.

La macchina, di fatto, controlla la vita della gente: è lei che comanda, anche se le persone si illudono di avere il pieno controllo della propria vita perché sono loro a premere i pulsanti. Ma non è affatto così, come si vedrà chiaramente nel corso del racconto.

Immagino che se lo avessi letto l’anno scorso, quando l’ho scaricato, mi avrebbe comunque fatto un certo effetto, ma letto a fine 2020 fa quasi paura. Non mi capacito di come Forster abbia potuto immaginare, 111 anni fa, esattamente quello che sta accadendo qui e ora. La speranza è che la conclusione a cui arriva il racconto resti fantascienza, ma non sarei sincera se dicessi che mi sento di metterci la mano sul fuoco.

Molto consigliato, se leggete in inglese potete trovarlo su qualunque sito di ebook gratuiti di pubblico dominio.

Qui c’è una bella recensione in inglese, il cui autore condivide il mio punto di vista riguardo alla lettura del racconto sullo sfondo del lockdown.

Cory Doctorow, Little Brother

Cory Doctorow, Little Brother, CC BY-NC-SA 3.0. Edizione originale 2008.

Una nota prima di iniziare: il libro è stato tradotto nel 2009 da Francesco Graziosi per Newton Compton con il titolo X, e la stessa traduzione è stata ripubblicata nel 2015 da Multiplayer Edizioni con il titolo originale, Little Brother. In inglese può essere scaricato gratuitamente dal sito dell’autore, che mette a disposizione tutte le sue opere in licenza Creative Commons.

«Non è questione di fare qualcosa di vergognoso. È questione di fare qualcosa di privato. È che la tua vita appartiene a te.»

Questa frase, che ho tradotto (male) dall’originale, non avendo davanti il testo in italiano, riassume un po’ tutto lo spirito del libro.

Il romanzo prende ovviamente spunto, fin dal titolo, dal Grande Fratello di 1984, ma soprattutto dalla mania tutta americana (e non solo) di controllare e sorvegliare le persone “per il loro bene” attraverso la tecnologia. La tecnologia in teoria dovrebbe essere amica delle persone, non nemica, ma in alcune circostanze, come ad esempio dopo violenti attacchi terroristici, alle persone viene fatto credere che perdere un po’ della propria libertà, rinunciare alla propria privacy, sia per il loro bene, affinché possano “sentirsi più sicure”.

L’autore non è statunitense ma canadese, ma negli Stati Uniti ha vissuto per molto tempo e si è poi trasferito a Londra, per ritornare infine a Los Angeles. Conosce dunque bene la realtà americana di cui scrive.

Il romanzo è classificato come distopia e/o fantascienza, ma se lo leggerete vi accorgerete che di fantascientifico ha ben poco, perché non è difficile immaginare come quello che racconta possa diventare realtà, o in alcuni casi lo è già (ricordo che il libro è di dieci anni fa, 2008).

Doctorow racconta la storia di Marcus, un ragazzo di 17 anni che va alle superiori e ama la tecnologia e giocare agli ARG, giochi in cui tramite blog e siti internet vengono disseminati indizi che vanno poi ritrovati nel mondo reale. In questo senso Little Brother mi ha ricordato Erebos, che però è stato scritto due anni dopo e, sebbene incentrato su un ARG, ha una tematica diversa. Little Brother invece non ruota intorno a un ARG (in questo caso Harajuku Fun Madness), ma intorno al tema della tecnologia utilizzata in maniera sbagliata, per controllare.

Marcus, dicevo, ha 17 anni e frequenta la scuola superiore a San Francisco, e ha tre amici con cui gioca a Harajuku Fun Madness: Van, Darryl e Jolu. Un giorno, usciti da scuola nel mezzo delle lezioni per andare a recuperare un inidizio di Harajuku Fun Madness, si trovano nel bel mezzo dell’attentato terroristico più disastroso dall’11 settembre, in cui perdono la vita oltre 4000 persone. Poiché si trovano vicino al luogo dell’esplosione, vengono raccolti da una camionetta dall’aspetto militare e sequestrati in quanto ritenuti responsabili o coresponsabili dell’attentato. Da qui ha inizio la loro avventura: segregato in una prigione per cinque giorni, maltrattato, quando torna dai suoi genitori Marcus decide di dare avvio a una resistenza sotterranea che si esplica attraverso le tecnologie internet.

La città, dopo l’attentato, è sorvegliata minuziosamente dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza, che usa tutti i sistemi possibili per tracciare le persone, e non si fa scrupoli a fermare le persone anche per motivi futili, ad esempio perché il tracciato dei loro spostamenti coi mezzi pubblici sembra irregolare. Marcus decide di riprendersi la sua privacy e insieme ad altri coetanei crea la Xnet, una rete che si appoggia sulle Xbox e su ParanoidLinux (già il nome dice tutto) e che consente di navigare in completo e reale anonimato.

Il libro, avendo dei protagonisti adolescenti, sembra rivolgersi più a un pubblico di giovani adulti che di adulti veri e propri, infatti ad esempio uno degli slogan è «Non vi fidate di nessuno sopra i 25 anni». Ci sono poi alcune tematiche prettamente adolescenziali come i primi amori, ecc., che però non vanno a disturbare l’idea centrale e non rendono il romanzo meno godibile anche per un pubblico adulto. Certo, forse ci saremmo identificati di più con protagonisti più “cresciuti”, ma forse in quel caso il libro avrebbe perso parte del suo senso, in quanto non ci avrebbe mostrato così chiaramente come il futuro e la possibilità della resistenza siano in mano ai giovani e giovanissimi, che per forza di cose, almeno in linea generale, sono più esperti di nuove tecnologie.

Un aspetto interessante è che l’autore dedica ogni capitolo a una libreria fra le sue preferite e ce ne parla in poche righe, fornendo anche l’indirizzo. Da notare che le librerie indipendenti sono praticamente inesistenti in queste dediche e, se posso permettermi di dire una cosa impopolare, questo non mi è dispiaciuto perché Doctorow elenca solo le librerie in cui davvero può trovare quello che preferisce, nel suo caso soprattutto fantascienza, e oso esprimere l’opinione, non politicamente corretta, che la grande varietà e la scoperta di perle rare è data più dalle grandi o grandissime librerie che dalle piccole o piccolissime. Ecco, l’ho detto.

Consiglio molto caldamente questo libro, anche se alcune parti possono essere difficili perché l’autore, o meglio il narratore Marcus, cerca di spiegare al lettore cosa stia facendo e parla quindi, anche se molto succintamente, di linguaggi di programmazione, crittografia, ecc. Tuttavia non vi fate spaventare perché queste parti sono davvero molto brevi e se sono riuscita io a leggere questo libro, che è pur sempre un romanzo e non un trattato, ci possono riuscire tutti.