Margaret Atwood, Seme di strega (tit. originale Hag-Seed), Rizzoli, 2017. Traduzione di Laura Pignatti.
Hogarth Shakespeare è un progetto della casa editrice Hogarth Press, che nel 2013 ha deciso di pubblicare alcune riscritture delle opere di Shakespeare, commissionate a scrittori famosi. Questo è l’unico che ho letto della serie, che attualmente conta 7 titoli, ma vorrei leggerne anche altri perché trovo il concetto estremamente interessante.
Questo di Atwood è la riscrittura della Tempesta, che è forse la mia preferita tra le opere di Shakespeare dopo ovviamente Macbeth, che per me è totalmente insuperabile e uno dei testi più belli mai scritti. Aggiungete al fatto che adoro La tempesta anche il fatto che amo Margaret Atwood e capirete perché ho voluto leggere questo libro.
Seme di strega (uno degli epiteti con cui Prospero chiama Caliban nell’opera di Shakespeare) è una riscrittura singolare, nel senso che non siamo di fronte al testo shakespeariano trasposto in chiave moderna, ma piuttosto a un testo metaletterario nel quale La tempesta viene messa in scena.
Felix Phillips è uno stimato regista teatrale: eccentrico e di grande talento, mette in scena rappresentazioni molto moderne e all’avanguardia. È particolarmente appassionato di Shakespeare e lo troviamo, all’inizio del libro, in procinto di portare sul palcoscenico La tempesta. Poco tempo prima era morta la figlioletta Miranda, di appena tre anni, una tragedia che fa seguito alla morte dell’amata moglie, deceduta durante il parto. Felix è straziato dal dolore ma vuole comunque portare in scena questa opera a cui tiene molto, come una sorta di omaggio alla piccola Miranda. Purtroppo è proprio di questo suo lutto che si approfitta il suo collaboratore Tony, che prende la palla al balzo per tradirlo e farlo estromettere dalla direzione del Makeshiweg Festival e quindi dal teatro tutto.
Felix è un uomo disperato, ma va avanti solo grazie all’idea di vendicarsi. Idea che potrà mettere in pratica dodici anni dopo.
Dopo anni di isolamento e abbrutimento, Felix decide di candidarsi per il ruolo di insegnante teatrale presso un carcere. È qui, dopo alcuni anni di intenso insegnamento, che decide di mettere in scena La tempesta insieme ai detenuti.
Oltre a essere un’eccellente riproposizione dell’opera shakespeariana, Atwood mette in scena anche il dolore, la vendetta, nonché una tematica sociale di grande importanza come la necessità che le carceri siano luoghi di riabilitazione piuttosto che di punizione. Ho trovato bellissimo vedere come i carcerati si appassionino al corso di teatro di Felix: il regista/insegnante non cerca di snaturare i detenuti, ma va incontro alle loro personalità e li immerge in un’esperienza non soltanto riabilitativa, ma anche appassionante e coinvolgente.
Allo stesso modo, vedere Felix sprofondare nell’abisso fa male ma è ben rappresentato e vedere questo grande regista cadere ha rivestito per me grande interesse, in particolare perché Atwood lo rappresenta in modo molto umano: quello che succede a lui dopo la morte della figlia potrebbe succedere a tutti, sebbene possa a prima vista sembrare strano.
Infine, ho amato moltissimo l’aspetto teatrale in sé: adoro il teatro e vedere crescere un dramma, vedere come viene pensato ed elaborato prima di raggiungere la scena, è stato una vera goduria, passatemi il termine.
Atwood è, come sempre, una scrittrice eccezionale, forse una delle migliori in circolazione. Un plauso a Laura Pignatti per la sua traduzione elegantissima, uno dei rari casi in cui non si sente per niente che il testo è tradotto. In particolare, tanto di cappello per come ha reso le canzoni, davvero stupende.
Nota a margine: ho adorato il fatto che venga citata Kidd Pivot, una compagnia canadese di danza/physical theatre che ho avuto il piacere di vedere in Lussemburgo e che credo sia una delle più eccezionali sulla scena contemporanea.