Elias Canetti, Dramen, Fischer, Frankfurt am Main 1995. 245 pagine.
Hochzeit (Nozze)
L’intero dramma si svolge in una casa, la casa della vecchia Gilz che sua nipote Toni spera di ereditare alla morte della vecchia. In un appartamento di questo palazzo si svolge la festa di nozze di Christa e Michel, a cui sono invitati quasi tutti gli abitanti del condominio e altri conoscenti esterni. Intanto al piano terra la moglie del portiere sta morendo, e il portiere le recita brani dalla Bibbia mentre la figlia, ritardata mentale, se ne va di qua e di là per la casa ridendo. A un certo punto alla festa di matrimonio si decide di fare un gioco: cosa fareste, se ora ci fosse un terremoto e la casa crollasse, per la vostra persona più cara qui presente? E mentre giocano il terremoto arriva davvero e la casa crolla, con grandi crisi di follia da tutte le parti, com’è solito nelle conclusioni canettiane.
Il dramma ruota intorno a vari temi: il possesso, il sesso, l’incomunicabilità. Possesso, perché tutti pensano costantemente chi a ereditare la casa, chi a raderla al suolo per costruire sul terreno di propria proprietà, chi a possedere persone – ed ecco che si viene al secondo e più importante tema, il sesso. Il sesso pervade tutta la pièce, tutti cercano di andare a letto con chiunque durante la festa di nozze: la madre della sposa vuole insegnare a Michel cosa deve fare con Christa, l’ottantenne Bock non ha la puzza sotto il naso e gli vanno bene un po’ tutte, la piccola di casa, la quattordicenne Mariechen, cerca di sedurre lo sposo, e così via. L’incomunicabilità è tema canettiano per eccellenza, per cui come siamo abituati le persone si parlano ma non si ascoltano mai, sembra che chiunque parli soltanto con se stesso e non c’è mai vera comunicazione fra i personaggi.
Leggo il dramma per la seconda volta, la prima in lingua originale, ed è bellissimo ritrovare tutti i topoi canettiani, dalla cosiddetta maschera acustica (un set fisso di frasi ed espressioni che caratterizza ogni personaggio) all’incomunicabilità passando per la follia. Una vera opera d’arte, sebbene non possa certo superare la pièce seguente, la mia amatissima.
Komödie der Eitelkeit (Commedia della vanità)
Come tutti saprete, io adoro profondamente questa commedia, e trovo che sia quanto di meglio sia stato scritto da Canetti insieme ad Auto da fé. Ne parlai già nove anni fa su queste stesse pagine. Non so neanche contare quante volte l’ho letta, e ogni volta, anche dopo tutti questi anni, l’emozione è sempre la stessa della prima volta.
In una città immaginaria che, a causa della lingua usata, si direbbe Vienna (la commedia è scritta per buona parte in dialetto viennese), un fantomatico governo mette al bando tutti gli strumenti della vanità: ritratti, foto, specchi e tutto quanto sia atto a raffigurare le persone. Nella prima parte c’è una grossa festa a cui tutti debbono e vogliono partecipare, dove viene dato fuoco a tutti questi strumenti del demonio e vengono distrutti gli specchi mentre su di essi si riflette l’immagine dei distruttori. Nella seconda parte ci troviamo dieci anni dopo nella stessa città, la gente si ingegna come può per vedersi, per esempio le ragazze si specchiano l’una negli occhi dell’altra, oppure ci sono degli adulatori che vanno in giro ad adulare la gente dicendo loro quanto sono belli e ben fatti. Le autorità propongono misure sempre più drastiche, come cavare gli occhi alla gente, e intanto le persone si ammalano sempre più di una strana “malattia dello specchio” che le rende immobili e perse nel vuoto, quasi morte se non fosse che respirano ancora. Nella terza e ultima parte ci troviamo in un sanatorio, o meglio un bordello degli specchi, dove la gente paga per sedersi di fronte a uno specchio e guardarsi. La commedia termina con una rivolta della gente nel sanatorio, che prende gli specchi in mano ed esce urlando “Io! Io! Io!”.
Le simbologie di questo testo sono innumerevoli, credo nella mia tesi triennale, o forse era in quella specialistica, di aver tirato fuori addirittura Lacan, ma ora non ho nessuna voglia di annoiarvi con questo, visto che come mi si è detto le mie recensioni sono diventate più terra terra e tali vorrei che rimanessero. Basti dire che naturalmente è un testo infarcito di psicologia e psicanalisi, la tematica dell’io, dell’identità e perdita di identità è fortissima. Ma la cosa forse ancora più interessante è che questo testo fu scritto nel 1933, all’ombra dei roghi dei libri messi in atto dai nazisti, che impressionarono molto Canetti in quanto ebreo e in quanto uomo di cultura. Il rogo che troviamo nella prima parte rispecchia infatti quei roghi del ’33, è altrettanto pieno di esaltati e nasce da una simile ideologia repressiva e dittatoriale. La scena che più mi rimane impressa ogni volta che leggo la commedia è quella in cui Therese Kreiss comincia a correre verso il fuoco gridando “Ich bin eine Sau! Ich bin eine Sau!” (Sau è la femmina del maiale, giusto per intenderci).
Anche qui troviamo, forse ancora più forti e meglio sviluppati che in Nozze, le maschere acustiche e il tema dell’incomunicabilità. Qui ogni personaggio ha almeno una frase o dei modi dire che lo caratterizzano, e davvero nessuno ascolta l’altro, tanto che pare quasi più vano questo continuo parlarsi addosso che il vero e proprio volersi specchiare.
In definitiva, io penso che questo testo sia uno dei massimi capolavori della letteratura mondiale, e no, non sto esagerando per niente.
Die Befristeten (Vite a scadenza)
La terza e ultima opera che compone questa raccolta di teatro canettiano è l’unica che non avessi ancora letto, sebbene sapessi di cosa parlava.
Siamo in un mondo futuro, come sempre non ben definito, stavolta neppure dalla lingua perché il testo è scritto in tedesco standard. In questa società le persone non hanno nomi propri ma numero al loro posto, per cui si chiamano ad esempio Cinquanta, Ventotto e così via. Questo numero rappresenta l’età in cui moriranno e viene assegnato alla nascita, insieme a una piccola capsula da portare al collo e da cui è vietato separarsi. La capsula verrà aperta dal capsulano al momento della morte della persona: solo lui ha il diritto di vedere il suo interno, in cui sono contenute la data di nascita e quella di morte del legittimo proprietario. Nessuno mette in discussione l’ordine costituito, finché arriva Cinquanta, che non crede al momento: è così chiamato il momento per eccellenza, quello in cui la persona è destinata a morire – quel momento e non un altro. Infine scopriremo che Cinquanta non sa bene quanti anni abbia, e nessun altro può saperlo perché l’età corrente della persona è un segreto, e quindi è l’unica persona in questa società a non sapere quando sarà il momento della sua morte. Questo lo spinge alla ribellione, così che finirà per rompere e aprire delle capsule, scoprendo così che le capsule sono vuote e niente è certo! Il finale di questa pièce mi è sembrato piuttosto oscuro e non scritto proprio magistralmente, ma comunque come al solito tutto finisce in ribellione e follia collettiva.
Il tema qui è eminentemente filosofico, perché di nient’altro si parla che di libero arbitrio, di destino, di fatalità e fato. In un certo senso potremmo dunque dire che questa sia una commedia a tema religioso, in quanto la società che qui viene rappresentata si configura come altamente fideistica, poiché crede ciecamente a una verità data per assoluta e rappresentata dal capsulano, che ha vesti quasi sacerdotali. Cinquanta rappresenta per così dire l’ateo, il miscredente, colui che non può e non vuole credere alla verità rivelata, il ribelle.
Anche questa commedia, più tarda, è molto bella, ma manca secondo me dell’aura di capolavoro che circonda le due opere teatrali precedenti.
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Il lettore italiano che volesse affrontare il teatro di Canetti dovrebbe essere ben motivato. Nel post di nove anni fa che citavo sopra parlavo di una prossima pubblicazione delle opere teatrali da parte della casa editrice Adelphi, ma a quanto ne so questa pubblicazione in tutti questi anni non è mai avvenuta – mentre se mi sbaglio e volete smentirmi sono la donna più felice del mondo. Credo negli anni Settanta, Einaudi aveva pubblicato la raccolta delle opere teatrali, che io trovai in una biblioteca di non ricordo dove, ma è rarissima e comunque fuori catalogo, quindi sta solo nelle biblioteche ben fornite.
Il lettore germanofono non cerchi la mia edizione Fischer perché è anch’essa fuori catalogo, ma esiste una più recente edizione Hanser. Che ve lo dico a fare, il teatro di Canetti è misconosciuto pure in patria (patria? quale patria? ma questa è un’altra storia…).