Urlo

III

Carl Solomon! I’m with you in Rockland
where you’re madder than I am
I’m with you in Rockland
where you must feel very strange
I’m with you in Rockland
where you imitate the shade of my mother
I’m with you in Rockland
where you’ve murdered your twelve secretaries
I’m with you in Rockland
where you laugh at this invisible humor
I’m with you in Rockland
where we are great writers on the same dreadful typewriter
I’m with you in Rockland
where your condition has become serious and is reported on the radio
I’m with you in Rockland
where the faculties of the skull no longer admit the worms of the senses
I’m with you in Rockland
where you drink the tea of the breasts of the spinsters of Utica
I’m with you in Rockland
where you pun on the bodies of your nurses the harpies of the Bronx
I’m with you in Rockland
where you scream in a straightjacket that you’re losing the game of the actual pingpong of the abyss
I’m with you in Rockland
where you bang on the catatonic piano the soul is innocent and immortal it should never die ungodly in an armed madhouse
I’m with you in Rockland
where fifty more shocks will never return your soul to its body again from its pilgrimage to a cross in the void
I’m with you in Rockland
where you accuse your doctors of insanity and plot the Hebrew socialist revolution against the fascist national Golgotha
I’m with you in Rockland
where you will split the heavens of Long island and resurrect your living human Jesus from the superhuman tomb
I’m with you in Rockland
where there are twentyfive thousand mad comrades all together singing the final stanzas of the Internationale
I’m with you in Rockland
where we hug and kiss the United States under our bedsheets the United States that coughs all night and won’t let us sleep
I’m with you in Rockland
where we wake up electrified out of the coma by our own souls’ airplanes roaring over the roof they’ve come to drop angelic bombs the hospital illuminates itself   imaginary walls collapse   O skinny legions run outside   O starry-spangled shock of mercy the eternal war is here   O victory forget your underwear we’re free
I’m with you in Rockland
in my dreams you walk dripping from a sea-journey on the highway across America in tears to the doors of my cottage in the Western night

*

III

Carl Solomon! Son con te a Rockland
dove sei più matto di me
Son con te a Rockland
dove devi sentirti molto strano
Son con te a Rockland
dove imiti l’ombra di mia madre
Son con te a Rockland
dove hai assassinato le tue dodici segretarie
Son con te a Rockland
dove ridi di invisibile umorismo
Son con te a Rockland
dove noi siam scrittori sulla stessa tremenda macchina da scrivere
Son con te a Rockland
dove le tue condizioni sono ormai gravi e l’han detto alla radio
Son con te a Rockland
dove le facoltà del cranio non lascian più entrare i vermi dei sensi
Son con te a Rockland
dove bevi tè dai seni di vecchie signorine di Utica
Son con te a Rockland
dove fai giochi di parole sui corpi delle tue infermiere le arpie del Bronx
Son con te a Rockland
dove gridi in camicia di forza che stai perdendo al vero pingpong sull’abisso
Son con te a Rockland
dove pesti sul pianoforte catatonico l’anima è innocente e immortale non deve mai morire in empietà in un manicomio armato
Son con te a Rockland
dove cinquanta e più shock non faran mai tornare la tua anima al suo corpo dal pellegrinaggio verso una croce nel vuoto
Son con te a Rockland
dove accusi i dottori di pazzia e trami la rivoluzione ebraico socialista contro il Golgotha nazional fascista
Son con te a Rockland
dove fenderai i cieli di Long Island e farai risorgere il tuo umano Gesù vivente dalla tomba superumana
Son con te a Rockland
dove ci sono venticinquemila compagni pazzi tutti insieme che cantano le strofe finali dell’Internazionale
Son con te a Rockland
dove abbracciamo e baciamo gli Stati Uniti tra le lenzuola gli Stati Uniti che tossiscon tutta notte e non ci lascian dormire
Son con te a Rockland
dove ci svegliamo elettroscioccati dal coma grazie agli aerei delle nostre anime che rombano sui tetti venuti a gettar bombe angeliche l’ospedale s’illumina da solo   muri immaginari cadono   Oh legioni tutt’ossa correte fuori   Oh shock a stelle-e-strisce di grazia l’eterna guerra è qui   Oh vittoria lascia perder le tue mutande siamo liberi
Son con te a Rockland
nei miei sogni cammini grondante quel mare traversato in autostrada per tutta l’America in lacrime stai sulla porta del mio cottage nella notte qui dell’Ovest

Da: Allen Ginsberg, Urlo & Kaddish (tit. originali Howl, Kaddish), il Saggiatore, Milano 1997. Traduzione di Luca Fontana. 126 pagine.

*

Chi era Carl Solomon, che Ginsberg incontrò in un istituto psichiatrico (pagina in inglese).
Sito su Allen Ginsberg (in inglese).
Un reading di Anne Waldman e Allen Ginsberg, scaricabile gratuitamente. La lettura di Howl dovrebbe iniziare verso il 41° minuto.
Una pagina molto dettagliata su Howl (in inglese).
Il testo di Howl, se non vi va di comprare il libro (in inglese).
Un articolo sull’elettroshock.

San Francisco Blues

74th Chorus

Marchesa Casati
Is a living doll
Pinned on my Frisco
Skid row wall

Her eyes are vast
Her skin is shiny
Blue veins
And wild red hair
Shoulders sweet & tiny

Love her
Love her
Sings the sea
Bluely
Moaning
In the Augustus John
de John
back ground.

*

74° chorus

La Marchesa Casati
È una bambola viva
Appuntata al mio muro
Dei bassi di Frisco

Ha gli occhi immensi
La pelle lucente
Vene azzurre
E rossi capelli selvaggi
Spalle dolci & sottili

Amala
Amala
Canta il mare
Blue-malinconico
Gemendo
Sullo sfondo di
Augustus John
de John.

Da: Jack Kerouac, Il libro dei blues (tit. originale Book of Blues), Mondadori, Milano 1999. Traduzione di Massimo Bocchiola. 383 pagine.

Angeli di desolazione

Tienti saldo, Jack, attraversa ogni cosa, e ogni cosa è un unico sogno, un’unica apparizione, un unico baleno, un unico triste occhio, un unico lucido mistero cristallino, un’unica parola – Tienti saldo, amico, riprendi amore alla vita e scendi giù da questa montagna e sii semplicemente – sii – sii le infinite fertilità dell’unica mente dell’infinito, non far commenti, lagnanze, critiche, lodi, ammissioni, parlari, fulminanti stelle di pensiero, ma solo scorri, scorri, sii tutto te stesso, sii ciò che è, è soltanto ciò che sempre è – Speranza è un parola simile a una raffica di neve – Questa è la Grande Conoscenza, questo è il Risveglio, questa è la Vuotezza – Perciò fa’ silenzio, vivi, viaggia, buttati, benedici e non pentirti –

Da: Jack Kerouac, Angeli di desolazione (tit. originale Desolation Angels), Mondadori, Milano 1983. Traduzione di Magda de Cristofaro. 414 pagine.

I vagabondi del Dharma

Ci trasferimmo sullo sperone di dove potevamo abbracciare con lo sguardo l’intera vallata e Japhy si sedette su una pietra in perfetta posizione del loto a gambe incrociate e tirò fuori il suo rosario juju di chicchi di legno e pregò. Cioè, si limitò a tenere i chicchi in mano, le mani a palme in su con i pollici che si toccavano, e guardava dritto innanzi a sé immobile come una statua. Io mi accomodai alla meglio su un altro masso ed entrambi rimanemmo silenziosi e meditammo. Solo che io meditavo a occhi chiusi. Il silenzio era un fragore assordante. Da dove stavamo noi, il suono del torrente, il gorgoglio e il garrulo sciabordìo del torrente, venivano bloccati dalle rocce. Udimmo molti altri malinconici jodele-i e rispondemmo ma ogni volta parevano allontanarsi sempre di più. Quando riaprii gli occhi il rosa si stava facendo d’un porpora sempre più intenso. Cominciarono a sfavillare le stelle. Caddi in profonda meditazione, percepii veramente le montagne come tanti Budda e nostri amici, e avvertii tutto l’arcano e la stranezza di quella situazione con tre soli uomini in tutta quell’immensa vallata: il mistico numero tre. Nirmanakaya, Sambhogakaya, e Dharmakaya. Pregai per la salvezza e di conseguenza la felicità eterna del povero Morley. Una volta aprii gli occhi e vidi Japhy seduto lì rigido come una pietra e mi venne voglia di ridere tanto era buffo. Ma le montagne erano incredibilmente solenni, e altrettanto lo era Japhy, e quanto a questo lo ero anch’io, e in fondo il riso è solenne.

Da: Jack Kerouac, I vagabondi del Dharma (tit. originale The Dharma Bums), Mondadori, Milano 1961. Traduzione di Magda de Cristofaro. 206 pagine.

[PS. I miei lettori, come me, devono amare molto il ferragosto. Ieri il blog ha ricevuto 40 visite, più del doppio di tutti gli altri giorni di agosto…]

Big Sur

Ma chi non abbia mai avuto il delirium tremens anche soltanto nei primi stadi non può capire che non si tratta tanto di una sofferenza fisica quanto di un’angoscia mentale indescrivibile a quelle persone ignoranti che non bevono e accusano i bevitori di irresponsabilità… L’angoscia mentale è tanto intensa che senti di aver tradito la tua stessa nascita, le fatiche anzi no le doglie del parto di tua madre quando ti generò e ti mise al mondo, hai tradito ogni fatica di tuo padre per nutrirti e crescerti e farti forte e mio Dio persino prepararti alla “vita”, provi un rimorso così profondo da identificare te stesso con il demonio e Dio sembra remoto deciso ad abbandonarti alla tua malata stupidità… Ti senti malato nell’accezione più ampia del termine, respiri senza crederci, malatomalatomalato, la tua anima geme, ti guardi le mani impotenti come se fossero in fiamme e tu non potessi far niente per spegnerle, guardi il mondo con occhi spenti, hai sulla faccia un’espressione di incalcolabile afflizione come un angelo costipato su una nuvola… In effetti è proprio uno sguardo canceroso quello che lanci al mondo, attraverso cuscinetti di lana grigio-bruni che hai sugli occhi… Hai la lingua bianca e disgustosa, i denti sono macchiati, i capelli sembrano essersi inariditi durante la notte, hai enormi cisposità agli angoli degli occhi, muco nel naso, bava agli angoli della bocca: in breve proprio quella odiosità nauseabonda e ben nota a chiunque sia passato accanto a un ubriaco in città nelle Boweries del mondo… Ma non si prova alcun piacere, la gente dice: « Oh be’ è ubriaco e contento lasciamogli smaltire la sbornia ». Il povero ubriacone sta piangendo… Piange per la madre e il padre, per il fratello maggiore e il migliore amico, piange invocando aiuto… Cerca di tirarsi su di morale spostando una scarpa più vicina al proprio piede e non riesce a fare neppure questo come si deve, lascerà cadere la scarpa o rovescerà qualcosa, combinerà invariabilmente qualcosa che lo farà piangere di nuovo. Vuole nascondere la faccia tra le mani e gemere implorando pietà ma sa che non c’è pietà… Non soltanto perché non la merita ma perché non esiste alcunché di simile… Alza gli occhi infatti al cielo azzuro e non c’è altro lassù se non vuoto spazio che gli fa una gran smorfia… Guarda il mondo, il mondo gli tira fuori la lingua e una volta tolta tale maschera lo sta fissando con occhi rossi infossati proprio come i suoi… Può anche vedere la terra muoversi ma non c’è alcun senso di alcun genere particolare da attribuire a ciò… Un suono sommesso inatteso alle sue spalle lo fa ringhiare di rabbia… Tirerà e strapperà la sua povera camicia macchiata… Gli andrebbe di strofinare la faccia in qualcosa che non è.

I calzini sono spesse stanche umide melme… La barba sulle gote prude a causa del sudore che scorre e irrita la bocca torturata… C’è una sensazione contorta di non-più, di mai-più, agh… Quello che ieri era bello e pulito si è irrazionalmente inesplicabilmente trasformato in un gran vaso da notte squallido pieno di merda… I peli sulle dita lo fissano come peli di tomba… La camicia e i calzoni gli si sono incollati addosso come se dovesse essere ubriaco in eterno… La sofferenza del rimorso gli affonda dentro come se qualcuno la stesse pigiando dall’alto… Le graziose nubi bianche nel cielo offendono soltanto i suoi occhi… La sola cosa da fare è voltarsi e giacere a faccia in giù e piangere… La bocca è talmente disseccata che non c’è neppure modo di digrignare i denti… Manca addirittura la forza di strapparsi i capelli.

Da: Jack Kerouac, Big Sur (tit. originale Big Sur), Mondadori, Milano 1966. Traduzione di Bruno Oddera. 205 pagine.

(Se volete qui c’è una bella recensione)