William Hope Hodgson, The House on the Borderland (La casa sull’abisso)

William Hope Hodgson, The House on the Borderland, e-artnow. Pubblicazione originale 1908.

La casa sull’abisso è un breve romanzo che si ascrive al genere lovecraftiano, detto anche horror cosmico: un genere che pone l’enfasi sullo sconosciuto e l’incomprensibile, più che sugli aspetti a cui più spesso associamo l’horror (Wikipedia). In realtà, trovo che in questo caso l’etichetta di horror cosmico sia calzantissima (La casa sull’abisso è il non plus ultra dell’horror cosmico), mentre quella di lovecraftiano sia fuorviante: casomai è Lovecraft a essere hodgsoniano, dato che da questo libro ha attinto a piene mani. A sua volta Hodgson attinge a piene mani da H.G. Wells.

Due uomini in vacanza trovano un misterioso rudere affacciato su un abisso e, lì vicino, trovano un manoscritto che costituisce il nucleo di questo romanzo. Il testo è stato redatto da un uomo senza nome che dice di essere chiamato pazzo dai suoi compaesani, ma che cionondimeno ci racconta le proprie bizzarrissime esperienze. Scontri con uomini-maiali, esperienze extra-corporee, incontri con divinità di vari pantheon del mondo, fine del sistema solare: c’è un po’ di tutto in questo romanzo, tanto che sembra molto meno breve di quanto non sia in realtà (in teoria sono circa 150 pagine, in pratica sembrano almeno il doppio). C’è da dire che questa sensazione di lunghezza non deriva solo dall’innumerevole quantità di avvenimenti a cui il nostro va incontro, ma anche dalla pesantezza della narrazione.

Per me è stata una rilettura successiva a una prima lettura fatta da adolescente e ho constatato che non ricordavo niente di questo libro. Quindi sono contenta di averlo riletto, anche per valutare se il mio giudizio fosse ancora simile (all’epoca mi era piaciuto ma non mi aveva entusiasmato). Inoltre ora l’ho letto in lingua originale, cosa che spesso mi piace fare con i libri che avevo originariamente letto in traduzione a causa delle mie allora scarse conoscenze della lingua originale. Devo dire, purtroppo, che questa volta il mio giudizio è stato ancora più tiepido della prima volta. Intendiamoci, è una pietra miliare dell’horror d’annata e ha fatto tantissimo per tutto quello che è venuto dopo, Lovecraft in primis. Però l’ho trovato noioso e troppo wellsiano. La parte che ho preferito è stata quella in cui assistiamo all’assalto delle cose-maiali, mentre la parte dedicata al sistema solare è stata per me terribile.

In conclusione è un libro che consiglio agli amanti del genere, però lo trovo invecchiato male. Contrariamente a molti dei racconti del suo “fan” Lovecraft.

Jodi Taylor, Hard Time

Jodi Taylor, Hard Time, Headline, 2020.

Non ho atteso molto prima di leggere il secondo libro della serie “The Time Police” (avevo letto ad agosto il primo, Doing Time). Sono usciti anche il terzo e il quarto libro della serie, che non vedo l’ora di leggere. Come dicevo nell’altra recensione, si tratta di uno spin-off della serie dedicata alle cronache del Saint Mary’s, quindi probabilmente sarebbe stato preferibile leggerlo dopo aver letto quella serie, ma si può apprezzare benissimo anche senza conoscerla.

In questo secondo romanzo ritroviamo il Team 236, soprannominato “Team Weird”, cioè il team di quei tizi strani. Luke, Jane e Matthew sono pronti ad affrontare nuove avventure durante la parte finale del loro apprendistato, al termine del quale potranno diventare poliziotti del Tempo a tutti gli effetti. Ricapitolando un attimo il contesto, siamo in un futuro in cui i viaggi nel tempo sono proibiti, a causa del rischio di mettere in pericolo la Storia cambiandola inavvertitamente o intenzionalmente. Oltre alla Polizia del Tempo, gli unici a poter viaggiare nel tempo sono gli storici del Saint Mary’s. La Polizia del Tempo serve ad acciuffare i criminali che infrangono la legge viaggiando nel tempo.

Come anche nel primo libro, le avventure che i tre del Team Weird si trovano ad affrontare sono più d’una, e infatti questo libro è molto d’azione oltre che di fantascienza umoristica. L’avventura più importante li porterà a cercare di smascherare una grossa organizzazione criminale che organizza viaggi nel tempo illegali.

Umorismo, azione, fantascienza: tutto questo si unisce in questo romanzo, dando vita a delle avventure rocambolesche, divertentissime, ma anche capaci di tenere incollati alle pagine e di creare molta tensione. Tanto che quasi non mi sono accorta che questo libro avesse più di 500 pagine, tanto l’ho divorato. Devo dire che Jodi Taylor è bravissima in tutto questo, anche se tende ad essere un po’ ripetitiva ogni tanto, ma forse lo fa apposta per sottolineare con humour certi concetti.

Il romanzo mi è piaciuto moltissimo e sono curiosissima di proseguire con questa serie, ma anche di iniziare a fare la conoscenza degli storici del Saint Mary’s. Promosso e consigliato, ma leggete prima il primo libro della serie.

John Meade Falkner, The Nebuly Coat – 1903

John Meade Falkner, The Nebuly Coat, e-artnow, 2018. Pubblicazione originale 1903.

La raccolta The Horror Beyond Life’s Edge, che scaricai tempo fa da Amazon, è un vero insieme di perle, anche se ovviamente alcuni racconti e romanzi sono meno riusciti di altri. Ma ha il pregio di portare a conoscenza del lettore alcuni classici ormai dimenticati, come questo romanzo di Falkner, che pare abbia goduto anche di un discreto successo alla sua pubblicazione.

I primi capitoli del libro sono mortalmente noiosi, ma si deve avere la costanza di perseverare perché poi si scoprirà un romanzo non certo eccelso ma sicuramente intrigante.

Il signor Westray è un giovane architetto inviato dalla ditta Farquhar e Farquhar a dirigere i lavori di restaurazione della cattedrale di Cullerne. I soldi sono pochi e i lavori necessari tanti e costosi. Westray trova alloggio presso Bellevue Lodge, una casa gestita dalla signorina Joliffe e da sua nipote Anastasia. Farà la conoscenza dell’organista e degli altri abitanti del paese e avrà modo di conoscerli bene perché passerà davvero molto tempo a Cullerne. Verrà così a sapere che un abitante del paese, Martin Joliffe, fratello della signorina Joliffe e deceduto poco tempo addietro, era convinto di essere il vero erede di Lord Blandamer, signorotto della contea. Era una vera e propria ossessione per il povero Martin e molti in paese lo prendevano in giro per questo; di sicuro nessuno gli credeva.

Sarebbe un peccato raccontare la trama più di così, perché credo sia interessante approcciarsi a questo libro come ho fatto io, ovvero sapendo poco o niente di quello che sarebbe poi successo. Ci sarà in particolare un altro personaggio fondamentale ai fini della storia. Tutto ruota intorno alla ristrutturazione della cattedrale e alla questione di chi sia davvero l’erede del vecchio Lord Blandamer, che aveva ossessionato Martin per tutta la vita.

Ci sono parti estremamente noiose, quando si parla dell’architettura della cattedrale, che ha un ruolo fondamentale nel romanzo (chiaramente se invece l’architettura vi interessa saranno parti interessantissime). Ma nel complesso è un bel romanzo, con un mistero, una storia di paese, personaggi ben delineati e osservazioni interessanti. Ad esempio mi è piaciuta molto la parte in cui uno dei protagonisti parla del suo bisogno di bere alcool per non vedere tutti i fallimenti della propria vita, l’ho trovata davvero toccante e piena di riflessioni che possono essere veritiere per molti. In altri punti è un po’ fastidioso, per esempio nella considerazione delle donne, ma è un romanzo figlio del suo tempo e per giunta ambientato nell’Ottocento, cosa che si fa molto sentire anche nello stile.

Non credo che sia un romanzo da ricordare a lungo, tuttavia è piacevole da leggere se si passa sopra certe parti tediose e certi personaggi irritanti (in particolare il protagonista, il signor Westray, è davvero insopportabile). Per me è promosso, anche se non a pieni voti.

Alexander McCall Smith, Morale e belle ragazze

Alexander McCall Smith, Morale e belle ragazze (tit. originale Morality for Beautiful Girls), Guanda, 2014. Pubblicazione originale 2001. Traduzione dall’inglese di Stefania Bertola.

I libri della serie di Precious Ramotswe sono spesso considerati dei gialli cozy (ovvero «un giallo ridotto all’osso, ambientato all’interno di una casa o di un piccolo paese. L’uso della violenza è minimo», come spiegato qui), anche se in realtà di giallo hanno ben poco.

Come nei primi due libri della serie, anche in questo ci sono varie trame che potremmo considerare “gialle”, ma nel senso lato del termine, mentre l’enfasi viene posta sull’ambientazione e soprattutto sui personaggi.

Per chi non conoscesse la serie, Precious Ramotswe è la proprietaria e fondatrice della Ladies’ Detective Agency N. 1, ovvero la prima agenzia investigativa del Botswana gestita da donne. Insieme a lei c’è la fida segretaria, la signorina Makutsi, mentre un altri personaggio importante è il signor JLB Matekoni, promesso sposo della signora Ramotswe. Tutti questi personaggi, e anche quelli minori, sono abbastanza macchiettistici ma simpatici, sembrano un po’ dei sempliciotti e tuttavia mentre si legge si vorrebbe quasi averli per amici nella vita reale.

Il Botswana, paese in cui sono ambientati i libri, svolge un ruolo importante ed è descritto come il miglior paese dell’Africa, quello nel quale le cose vanno meglio. La descrizione che ne fa l’autore è certamente edulcorata, eppure non manca di sottolineare alcune problematiche come ad esempio lo sfruttamento dei domestici, figlio dello schiavismo praticato in precedenza nel paese. Tuttavia, il lettore non può che innamorarsi del Botswana.

In questo libro le trame sono quattro: la prima e principale è quella di un importante membro del governo che vorrebbe smascherare un’avvelenatrice presente nella sua famiglia; poi c’è la depressione di JLB Matekoni; quindi un bambino che viene ritrovato e che non si sa chi sia e da dove venga; infine un conocorso di bellezza e moralità per ragazze. Sono tutte storie semplicistiche, che si risolvono in maniera sbrigativa e inverosimile per l’eccessiva fretta con cui giungono a soluzione. Eppure il libro è gradevole e credo sia perfetto per chi sia in cerca di una lettura leggera leggera. Tra l’altro questo terzo capitolo della serie mi è piaciuto più degli altri due. (Per chi fosse curioso/a, qui c’è la mia recensione al primo romanzo della serie).

Ottima la traduzione di Stefania Bertola, seppure con due o tre scivoloni, di cui uno mi ha fatto accapponare la pelle (si presuppone che una professionista che lavora con la lingua italiana sappia che il verbo “c’entrare” non esiste). Tuttavia, promossa.

J.B. Priestley, Benighted

J.B. Priestley, Benighted, Valancourt Books, 2018. Pubblicazione originale 1927.

Valancourt Books è una casa editrice americana che mi piace tantissimo e che ho scoperto grazie a Goodreads. In particolare si dedica a riscoprire classici dimenticati della letteratura horror, weird, gotica e vittoriana, ma pubblica anche libri a tematica LGBT. Se vi iscrivete alla loro newsletter potrete scoprire non solo le ultime novità, ma anche quale/i ebook mettono in promozione su Amazon ogni mese. A settembre trovate questo libro a 3 euro e vi consiglio di farci un pensierino. Quando ho letto la trama mi ha subito incuriosito e non ho potuto fare a meno di comprarlo e leggerlo subito.

Il filone a cui si ascrive questo libro non è tanto quello delle case infestate (haunted houses), quanto quello delle case sinistre che, come mi insegna la prefazione, era all’epoca un genere a sé, chiamato “old dark house”. Non ci sono strane presenze, ma è proprio la casa in sé, e in particolare i suoi abitanti, ad essere sinistra. Un aggettivo che ricorre spesso nel corso del libro è “putrido”: l’atmosfera della casa è descritta come putrida, a un certo punto si dice che uno dei personaggi sembra qualcosa in putrefazione. Naturalmente non bisogna prendere alla lettera questa aggettivazione: non stiamo parlando dell’aria che si respira in senso letterale, ma in senso lato. Un’atmosfera, una sensazione.

Il romanzo potrebbe sembrare ai nostri occhi pieno di cliché, ma dobbiamo ricordarci che è stato scritto quasi cento anni fa, nel 1927. All’epoca, si dice nella prefazione, questo della “old dark house” era un filone molto in voga, ma sicuramente (secondo me) era comunque un filone più “fresco” di quanto non sia adesso, quando ormai il cinema e la letteratura ci hanno abituato fino allo sfinimento alle case sinistre.

L’inizio del libro mi ha ricordato molto The Rocky Horror Picture Show, che infatti viene anche citato nella prefazione come una parodia del genere. Tre persone (marito e moglie più un loro amico) si sono perse nella campagna del Galles, sotto una pioggia torrenziale che arriva ad essere un’alluvione e a causare frane insuperabili. A un certo punto vedono le luci di una casa e, come nella migliore tradizione horror, ingenuamente decidono di chiedere riparo per la notte. Non vengono accolti bene dai tre abitanti della casa. Il maggiordomo o servitore o quel che è, Morgan, è un uomo muto e bestiale che mi ha ricordato molto il mostro di Frankenstein, e non sembra neppure capire cosa vogliano quegli estranei. Il signor Femm li accoglie in maniera estremamente riluttante, ma la sorella, Rebecca Femm, una vecchia quasi sorda, grassa e infernale nella sua mania religiosa, dice che i tre non possono restare. Tuttavia finiranno per restare.

L’atmosfera è sinistra, opprimente, gli inquilini della casa sono stranissimi ognuno a suo modo, e chiaramente nascondono qualcosa. I tre sfortunati protagonisti sono a loro volta bizzarri, in particolare Penderel, l’amico della coppia: da poco tornato dalla guerra, non ha trovato il suo posto in una società profondamente cambiata e ormai privata di quegli uomini che la rendevano vivibile e bella, morti in guerra e ormai sepolti. Penderel ogni tanto è preso da momenti di acuta depressione, o meglio da un senso di vuoto incolmabile: «uno stato d’animo ricorrente, che toglieva tutto il colore dalla vita e riempiva la bocca di cenere». Vediamo bene che lo stato d’animo di tutti quelli che si trovano nella casa non è dei più rosei e necessariamente le stranezze degli abitanti e della casa stessa finiscono per avere il sopravvento.

Non me la sento di dire molto di più sulla trama, è un libro molto breve (appena 182 pagine) e succedono diverse cose che sarebbe peccato svelare, anche se, oltre agli avvenimenti, a farla da padrona è l’atmosfera di sospetto, menzogna, non detto, oppressione.

Il romanzo mi è piaciuto enormemente e cercherò altri libri di Priestley. Chiaramente, giova ripeterlo, per apprezzare questo libro è necessario ricordarsi ad ogni pagina che è stato scritto quasi cent’anni fa, altrimenti si finirà per essere sopraffatti da quelli che al giorno d’oggi sono ormai cliché. Se siete in grado di fare questo, ve lo consiglio moltissimo, in particolare se siete amanti del genere.