Mark Twain, A Dog’s Tale – 1904

Non so se questo racconto di Mark Twain sia mai stato tradotto in italiano, probabilmente è presente in qualche raccolta di suoi racconti, se ne esistono. In inglese si trova in vari siti perché è ormai nel pubblico dominio.

La narratrice di questo racconto è una cagnolina, figlia di un San Bernardo e di una Collie, molto legata alla madre anche se poi verrà venduta a un’altra famiglia di umani. La madre ama sfoggiare la sua conoscenza del vocabolario, per cui butta paroloni qua e là, ma evidentemente non ne conosce il significato. Gli altri cani però non se ne accorgono e la ammirano. Quando la protagonista/narratrice entrerà a far parte della sua nuova famiglia, inizieranno sia le gioie che i dolori…

Ho trovato molto carino questo racconto, in particolare perché narrato con gli occhi di un cane, che vede gli umani dal suo punto di vista, che è ovviamente diverso dal nostro. Nonostante la grazia e pur essendo delizioso, è molto triste nel finale, ma vale la pena di essere letto.

Titolo: A Dog’s Tale
Autore: Mark Twain
Casa editrice: pubblico dominio
Pubblicazione originale: 1904
Numero di pagine: 52

James Rollins, L’oro perduto

James Rollins, L’oro perduto (tit. originale Tracker), Nord, 2012. Traduzione di Giorgia Di Tolle.

L’oro perduto, come (credo) tutti gli altri libri di James Rollins, si ascrive al genere avventura e azione: un genere che abitualmente non frequento ma che ho provato a esplorare brevemente per i miei nuovi orizzonti di lettura, anche grazie al fatto che il libro mi era stato regalato da Il Libraio all’epoca della mia iscrizione alla newsletter.

Si tratta di un brevissimo racconto che fa parte della serie Sigma Force e che serve a introdurre i personaggi di Tucker e del cane Kane. Perfino come introduzione è troppo breve, sembra un’idea soltanto abbozzata che avrebbe potuto essere trasformata in un libro se solo l’autore ne avesse avuto voglia. Come romanzo credo che sarebbe stato anche gradevole, così è assai debole e a me personalmente ha lasciato un po’ l’amaro in bocca. Anche perché quasi metà del libro è dedicata all’anteprima di Labirinto d’ossa, quindi il racconto è davvero striminzito.

Siamo in Ungheria, Tucker si accorge che una donna viene seguita da tre loschi figuri e decide di aiutarla (perché poi?), insieme al fido cane Kane avuto “in eredità” una volta lasciato l’esercito. Ci sono di mezzo 92 milioni di oro rubato agli ebrei all’epoca della seconda guerra mondiale.

Alla fine il cane e il rapporto con Tucker sono la parte più interessante della storia, mentre il personaggio di Tucker in sé mi ha lasciato indifferente.

Se volete leggere qualcosa di James Rollins non partite da qui: a me non ha fatto venire nessuna voglia di conoscere questo autore.

Ricardo Fernández Guardia, La principessa Lulù (Costa Rica)

Ricardo Fernández Guardia, La principessa Lulù, pubblico dominio, 1926. Traduttore e titolo originale non indicati.

Per il Costa Rica sono andata sul semplice, anche per la difficoltà di reperire qualcosa di autori costaricani. Ho letto questo racconto breve breve che ho trovato su Liber Liber, scaricabile gratuitamente. Si fa prima a leggerlo che a parlarne, ma vi dico giusto due parole.

Bouez è un pittore, ha dipinto il ritratto di una donna bellissima e svela di averla conosciuta in circostanze a dir poco bizzarre: si è infatti presentata alla sua porta chiedendo una consistente somma di denaro, che avrebbe voluto guadagnarsi posando per il pittore e che le serviva per evitare la rovina alla madre. Una donna così bella ma così misteriosa: il solito principe russo non può che volerla fare sua. Misteriosa perché Bouez non ne ha mai conosciuto il nome.

L’ho trovato un racconto senza pretese, ma gradevole. Si legge in pochissimo tempo e può servire a fare la conoscenza di questo autore, di cui credo sia riperibile qualcosa in traduzione inglese (oltre che ovviamente in spagnolo, per chi ha la fortuna di leggere in questa lingua). Se avete venti minuti di tempo dategli una chance, tutto sommato è piacevole, anche se niente di straordinario.

Richard Marsh, The Seen and the Unseen – 1900

Richard Marsh, The Seen and the Unseen, Wikisource.

Di Richard Marsh avevo letto i bellissimi The Beetle e The Datchet Diamonds, due libri molto diversi tra loro, poi ho letto da qualche parte che The Seen and the Unseen sarebbe uno dei suoi libri migliori in quanto Marsh darebbe il meglio nei racconti, perciò quando l’ho trovato su Wikisource ho deciso che non potevo lasciarmelo scappare. È anche il primo libro che leggo per il mio giro del Novecento in letteratura.

Il livello di questi racconti è davvero molto alto e avrei dato pieni voti se non fosse stato per due racconti che, per quanto molto interessanti nella risoluzione, ho trovato estremamente noiosi in quanto parlano di due mondi per me privi di interesse, ovvero le corse dei cavalli e il rugby. Gli altri però sono bellissimi e a volte eccezionali.

Il mio preferito è senza dubbio il primo della raccolta, “A Psychological Experiment”. Due uomini si trovano insieme in una sorta di club: si parla di omicidi e suicidi e uno dei due, seccato e annoiato dalla conversazione, si trova a parlare con l’altro. Il tema della conversazione fra i due però non cambierà, anzi. È un racconto un po’ horror e un po’ weird, sicuramente molto inquietante. Ci sono un omicidio, animali striscianti, una misteriosa scatola, un assassino e la sua vittima. In effetti quello che avviene è un esperimento psicologico, come dice il titolo, e sia il risultato che soprattutto lo svolgimento sono davvero interessanti. L’angoscia è palpabile, l’orrore è strisciante come i rettili che fanno da comprimari nel racconto.

Mi è piaciuto moltissimo anche “The Photographs”, dove le protagoniste sono, appunto, delle strane fotografie fatte in una prigione. Un prigioniero viene fotografato per gli archivi della polizia, ma insieme a lui nelle foto sembra esserci sempre una donna che però, come testimoniano gli altri presenti alla sessione fotografica, non era assolutamente nella stanza quando sono state fatte le foto. Un fantasma? Anche questo un racconto inquietante, ma insieme anche romantico.

A seguire, “A Pack of Cards” e “The Violin” sono entrambi eccellenti anche se a questo punto la vena vagamente horror dei primi due racconti si perde e non comparirà più nel corso della raccolta. Nel primo racconto citato tutto ruota intorno a un mazzo di carte destinato a far vincere sempre il proprietario: evidentemente truccato, c’è però di mezzo anche un fantasma… forse. Un fantasma compare anche nel secondo racconto, dove un violino viene suonato da una persona che non si vede: suona sempre lo stesso pezzo, scritto da un amico del protagonista, il quale crede che l’amico scomparso sia tornato e stia appunto suonando il violino.

Mi è piaciuto moltissimo anche “A Double-Minded Gentleman”, storia di un doppelgänger o, come si direbbe oggi, di una dissociazione. Questo non ha niente di horror né ci sono fantasmi, ma ha del bizzarro e si vuole scoprire cosa sta succedendo. Chi sono i due uomini che sembrano due gocce d’acqua?

Infine, ho amato molto “The Houseboat”, dove tornano ad apparire dei fantasmi a bordo di una barca e i due protagonisti rivivono loro malgrado la scena di un omicidio accaduto qualche tempo addietro.

Non male gli altri racconti, fatti salvi appunto i due che dicevo all’inizio. C’è sempre qualcosa di inquietante e di sinistro nella maggior parte dei racconti (non proprio in tutti). Compare il sovrannaturale, ma compaiono anche i semplici casi della vita che rendono la vita bizzarra e le vicende incomprensibili ai protagonisti fino al disvelamento finale. Per me, Richard Marsh era un vero maestro ed è ingiustamente dimenticato.

Robert Aickman, Cold Hand in Mine (Suspense)

Robert Aickman, Cold Hand in Mine, Faber & Faber.

Questa raccolta di racconti, uscita nel 1975, è stata pubblicata in Italia da Mondadori nella collana Oscar Horror con l’orrendo titolo Suspense. Il libro è uscito nel 1990 e credo sia ormai fuori catalogo, in ogni caso se riuscite a recuperarlo (quello in inglese è facilissimo da reperire in cartaceo e in ebook) ve lo consiglio.

Robert Aickman è considerato uno dei grandi della weird fiction della nuova scuola, per cui non potevo esimermi dal leggere qualcosa di suo. Devo dire che ho fatto fatica a ingranare coi primi racconti e ho iniziato a pensare che questa fama fosse un poco esagerata, ma a un certo punto la qualità si alza tantissimo.

I due racconti che ho preferito (ex aequo) sono The Hospice e The Clock Watcher.

Il primo parla di un uomo che, a causa del suo scarso senso dell’orientamento, finisce per perdersi durante un viaggio in macchina: sta per finire la benzina e perciò, trovandosi di fronte a una pensione, decide di fermarsi a cenare e a chiedere una tanica di benzina. Come tutti sappiamo, quando ti sei perso e arrivi a un motel/hotel/pensione in mezzo al nulla, non è mai una buona idea fermarsi, come ci hanno insegnato innumerevoli libri e film horror. Ma il nostro protagonista non deve averli letti/visti e quindi si ferma.

Nel secondo racconto invece vediamo una giovane coppia di sposi poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, lui inglese e lei tedesca. La donna, Ursula, ha una strana e ossessiva passione per gli orologi a muro e cucù, che colleziona senza alcun senso della misura.

Molto bello anche Pages from a Young Girl’s Journal, nel quale una ragazza inglese è in vacanza in Italia insieme ai genitori ai tempi in cui anche Lord Byron si trova nel nostro paese. Bello il contenuto, ma bella anche la resa, perché Aickman lo scrive in perfetto stile e linguaggio ottocentesco, dato che si tratta del diario di una ragazza vissuta nell’Ottocento.

Bellissimo anche The Same Dog, nel quale assistiamo all’amicizia fra due bambini, fra i quali viene a frapporsi uno strano e aggressivo cane…

Per niente male The Swords, dove un uomo assiste a uno stranissimo spettacolo in un luna park, con protagonisti un imbonitore annoiato e una donna bellissima.

Gli altri (sono otto in tutto) li ho trovati carini ma nulla di più.

Mi rendo conto di aver scritto pochissimo riguardo a ciò che succede in questi racconti, ma non voglio certo privarvi del piacere della scoperta, perché vi garantisco che è meglio se ci arrivate senza sapere nulla di più di quanto vi ho detto.

La scrittura di Aickman è eccellente e, come dice la postfazione, pare fuori dal suo tempo, nel senso che sembra più un autore del primo Novecento che della seconda metà del secolo. Una scrittura elegantissima. Le atmosfere sono weird e sinistre, forse ci sono tocchi di soprannaturale ma tutto rimane all’immaginazione del lettore, non vengono mai date spiegazioni in proposito a quello che succede. In alcuni casi i finali sono aperti, in un caso addirittura il racconto termina bruscamente proprio quando sembra che l’autore stia per svelarci qualcosa. Personalmente odio i finali aperti, ma in questo caso li ho apprezzati (ecco, magari quello bruschissimo un po’ meno) perché contribuiscono enormemente a mantenere e anzi aumentare quell’atmosfera sinistra e inquietante. Il lettore vorrebbe sapere cosa sta succedendo, in un certo senso sarebbe un modo per tranquillizzarsi dopo atmosfere così bizzarre e spesso angosciose, invece Aickman non ci dà questa soddisfazione, anzi decide di mantenerci sulle spine per sempre.

Devo dire dunque che il giudizio finale è molto positivo e penso che leggerò altro di Aickman.

Se volete, qui trovate i titoli italiani dei racconti.