Non chiamarmi zingaro

Immagine di Non chiamarmi zingaro.Pino Petruzzelli, Non chiamarmi zingaro, Chiarelettere, Milano 2008.

«Mi fate ridere quando vi sento dire che avete paura di noi. Ogni volta che ci fermiamo con la roulotte in una zona isolata, andiamo a dormire con la speranza che nella notte non arrivi qualche balordo a darci fuoco con una tanica di benzina. "Che facciamo stasera? ma sì, andiamo a bruciare questi zingari." Abbiamo paura. Prova a immaginare cosa accadrebbe se finissi nelle mani di un gruppo di naziskin. Mi taglierebbero a pezzi e mi metterebbero nel forno di casa. Perché devo vivere nel terrore? Per fortuna che c’è la polizia. Se non ci fossero loro non ci sarebbe più un sinto o un rom sulla faccia della Terra.»

Ecco un libro che dovremmo leggere tutti: giovani e meno giovani, di sinistra e di destra, italiani e non.

Gli zingari ci fanno paura, ce ne hanno sempre fatta, ma ora, com’è risaputo e come si percepisce benissimo anche senza guardare il telegiornale o leggere i quotidiani, la cosa, almeno in Italia, sta assumendo proporzioni enormi.
E allora Pino Petruzzelli, che da anni si occupa di razzismo e di conoscenza delle culture, ci ha scritto un libro, uscito poco meno di due mesi fa per Chiarelettere, casa editrice attiva e combattiva, nata appena un anno fa e da subito impegnata nella cosiddetta contro-informazione, quella non legata a partiti o giochi di potere.

Petruzzelli ha viaggiato molto, in Italia e all’estero, e ha parlato con molti "zingari", termine impreciso che racchiude in sé diversi gruppi, dai rom ai sinti, dai manouche ai kalè. E proprio ad essi l’autore dà voce in questo libro, ponendosi non come autore-narratore, ma meglio come intervistatore.
Così sentiamo per esempio la voce del padre di Eva, Danciu e Lerica, i tre bambini morti il 10 agosto 2007 nel rogo di Pian di Rota, o ancora di Doro, che ha vissuto l’esperienza del contestatissimo campo nomadi di Opera nello stesso anno. Ma anche di Unica, per metà sinta, fidanzata con un italiano, laureata, o di Anna, origini rom, dottoressa, che nasconde la sua origine perfino al marito. E ancora Mauso, pittore rom, Marsela, la prima maestra rom d’Albania.
Sentire le loro voci, le loro esperienze, le loro idee, abitudini, raccontate direttamente, senza filtri, aiuta a formarsi un’immagine meno distorta, a deporre, almeno un po’, i pregiudizi – radicatissimi. Vedere come siano capaci di perle di saggezza, di paure speculari alle nostre, di una visione del mondo molto diversa ma non per questo sbagliata o spregevole.

«Una buona idea per tutti sarebbe quella di vederci come realmente siamo, e cioè la vostra immagine riflessa in uno specchio che esagera e che deforma. Ci vedete ladri? Campanello d’allarme: probabilmente rubate anche voi ogni volta che evadete le tasse, per esempio. Vi sembra che noi abbandoniamo i bambini? Si vede che anche voi non ve ne occupate come vorreste lasciandoli, magari, tutto il giorno a scuola o con la baby-sitter. Vi sembra che noi sfruttiamo i bambini per guadagnare? Forse non vi comportate tanto diversamente quando vi dannate perché vengano presi nel tale film o nella tale pubblicità. Se proprio non volete vederci come esseri umani allora guardateci come uno specchio: vi conoscerete meglio e senza nemmeno spendere un soldo.»

Nei due capitoli finali Petruzzelli si addentra nelle discriminazioni attuate nei confronti degli zingari a livello istituzionale: così nel penultimo affronta il caso della Pro Juventute, associazione svizzera che ha messo in atto un sistematico programma di sradicamento culturale e familiare degli jenisch (la popolazione zingara della Svizzera), con tanto di sottrazione dei bambini ai genitori per affidarli a famiglie elvetiche. Nell’ultimo capitolo, invece, si parla del genocidio dimenticato, quello che ha visto protagonista la Germania nazista, con lo sterminio di cinquecentomila zingari e la sterilizzazione forzata di molte donne. In questo capitolo, mi sembra, Petruzzelli affronta il problema con visione da uomo indignato più che da storico (che non è, in effetti, il suo mestiere), lasciando il desiderio di approfondire la questione dal punto di vista storico, appunto.

Interessanti, alla fine del libro, la bibliografia e la sitografia, che rendono possibile approfondire l’argomento.

Molto completa la rassegna stampa sul sito della casa editrice.

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