[Incipit] La forma dell’acqua

Lume d’alba non filtrava nel cortiglio cdella «Splendor», la società che aveva in appalto la nettezza urbana di Vigàta, una nuvolaglia bassa e densa cummigliava completamente il cielo come se fosse stato tirato un telone grigio da cornicione a cornicione, foglia non si cataminava, il vento di scirocco tardava ad arrisbigliarsi dal suo sonno piombigno, già si faticava a scangiare parole. Il caposquadra, prima di assegnare i posti, comunicò che per quel giorno, e altri a venire, Peppe Schèmmari e Caluzzo Brucculeri sarebbero stati assenti giusitificati. Più che giustificata infatti l’assenza: i due erano stati arrestati la sera avanti mentre tentavano di rapinare il supermercato, armi alla mano. A Pino Catalano e a Saro Montaperto, giovani geometri debitamente disoccupati come geometri, ma assunti in qualità di «operatori ecologici» avventizi in seguito al generoso intervento dell’onorevole Cusumano, per la cui campagna elettorale i due si erano battuti corpo e anima (esattamente nell’ordine: il corpo facendo assai più di quanto l’anima fosse disposta a fare), il caposquadra assegnò il posto lasciato vacante da Peppe e Caluzzo, e precisamente il settore detto la mànnara, perché in tempi immemorabili pare che un pastore avesse usato tenervi le sue capre. Era un largo tratto di macchia mediterranea alla periferia del paese che si spingeva quasi fin sulla pilaia, con alle spalle i resti di un grande stabilimento chimico, inaugurato dall’onnipresente onorevole Cusumano quando pareva che forte tirasse il vento delle magnifiche sorti e progressive, poi quel venticello rapidamente si era cangiato in filo di brezza e quindi si era abbacato del tutto: era stato capace però di fare più danno di un tornado, lasciandosi alle spalle una scia di cassintegrati e disoccupati. Per evitare che le torme vaganti in paese di nìvuri e meno nìvuri, senegalesi e algerini, tunisini e libici, in quella fabbrica facessero nido, torno torno vi era stato alzato un alto muro, al di sopra del quale le strutture corrose da malottempo, incuria e sale marino, ancora svettavano, sempre più simili all’architettura di un Gaudí in preda ad allucinogeni.

Andrea Camilleri, La forma dell’acqua, Sellerio, Palermo 2009. 191 pagine, 8 euro.

* Il sito di Camilleri.
* Camilleri su Wikipedia.
Camilleri Fans Club.
* Il libro sul sito dell’editore.
* La serie di Montalbano.
* Il sito della serie Rai dedicata a Montalbano.
* La puntata della serie Rai tratta dal libro.

[Incipit] La gita a Tindari

Che fosse vigilante, se ne faceva capace dal fatto che la testa gli funzionava secondo logica e non seguendo l’assurdo labirinto del sogno, che sentiva il regolare sciabordìo del mare, che un venticello di prim’alba trasìva dalla finestra spalancata. Ma continuava ostinatamente a tenere gli occhi inserrati, sapeva che tutto il malumore che lo macerava dintra sarebbe sbommicato di fora appena aperti gli occhi, facendogli fare o dire minchiate delle quali doppo avrebbe dovuto pentirsi.
Gli arrivò la friscatina di uno che caminava sulla spiaggia. A quell’ora, certamente qualcuno che andava per travaglio a Vigàta. Il motivo friscato gli era cognito, ma non ne ricordava né il titolo né le parole. Del resto, che importanza aveva? Non era mai riuscito a friscare, manco infilandosi un dito in culo. «Si mise un dito in culo / e trasse un fischio acuto / segnale convenuto / delle guardie di città»… Era una fesseria che un amico milanese della scuola di polizia qualche volta gli aveva canticchiato e che gli era rimasta impressa. E per questa sua incapacità di friscare, alle elementari era stato la vittima prediletta dei suoi compagnucci di scuola che erano maestri nell’arte di friscare alla pecorara, alla marinara, alla montanara, aggiungendovi estrose variazioni. I compagni! Ecco che cosa gli aveva procurato la mala nottata! Il ricordo dei compagni e la notizia letta sul giornale, poco prima d’andare a corcarsi, che il dottor Carlo Militello, non ancora cinquantino, era stato nominato presidente della seconda più importante banca dell’isola. Il giornale formulava i più sentiti auguri al neo Presidente, del quale stampava la fotografia: occhiali certamente d’oro, vestito griffato, camicia inappuntabile, cravatta finissima. Un uomo arrivato, un uomo d’ordine, difensore dei grandi valori (tanto quelli della Borsa quanto quelli della Famiglia, della Patria, della Libertà). Se lo ricordava bene, Montalbano, questo suo compagnuccio non delle elementari, ma del ’68!
«Impiccheremo i nemici del popolo con le loro cravatte!»
«Le banche servono solo a essere svaligiate!»
Carlo Militello, soprannominato «Carlo Martello», in primisi per i suoi atteggiamenti di capo supremo e in secundisi perché contro gli avversari adoperava parole come martellate e cazzotti peggio delle martellate. Il più intransigente, il più inflessibile, che al suo confronto il tanto invocato nei cortei Ho Chi Min sarebbe parso un riformista socialdemocratico. Aveva obbligato tutti a non fumare sigarette per non arricchire il Monopolio di Stato, spinelli e canne sì, a volontà. Sosteneva che in un solo momento della sua vita il compagno Stalin aveva agito bene: quando si era messo a rapinare banche per finanziare il partito. «Stato» era una parola che dava a tutti il malostare, li faceva arraggiare come tori davanti allo straccio rosso. Di quei giorni Montalbano ricordava soprattutto una poesia di Pasolini che difendeva la polizia contro gli studenti a Valle Giulia, a Roma. Tutti i suoi compagni avevano sputato su quei versi, lui aveva tentato di difenderli: «Però è una bella poesia». A momenti Carlo Martello, se non lo tenevano, gli scassava la faccia con uno dei suoi micidiali cazzotti. Perché allora quella poesia non gli dispiacque? Vedeva in essa già segnato il suo destino di sbirro? Ad ogni modo, nel corso degli anni, aveva visto i suoi compagni, quelli mitici del ’68, principiare a «ragionare». E ragionando ragionando, gli astratti furori si erano ammosciati e quindi stracangiati in concrete acquiescenze. E adesso, fatta eccezione per qualcuno che con straordinaria dignità sopportva da oltre un decennio processi e carcere per un delitto palesemente non commesso né ordinato, fatta eccezione ancora per un altro oscuramente ammazzato, i rimanenti si erano tutti piazzati benissimo, saltabeccando da sinistra a destra, poi ancora a sinistra, poi ancora a destra, e c’era chi dirigeva un giornale, chi una televisione, chi era diventato un grosso manager di Stato, chi deputato o senatore. Visto che non erano arrinisciuti a cangiare la società, avevano cangiato se stessi. Oppure non avevano manco avuto bisogno di cangiare, perché nel ’68 avevano solamente fatto teatro, indossando costumi e maschere di rivoluzionari. La nomina di Carlo ex Martello non gli era proprio calata. Soprattutto perché gli aveva provocato un altro pinsèro e questo certamente il più fastidioso di tutti.
«Non sei macari tu della stessa risma di questi che stai criticando? Non servi quello Stato che ferocemente combattevi a 18 anni? O ti fa lastimiare l’invidia, dato che sei pagato quattro soldi e gli altri invece si fanno i miliardi?»

Andrea Camilleri, La gita a Tindari, Sellerio, Palermo 2000. 291 pagine.

* Il sito di Camilleri.
* Camilleri su Wikipedia.
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* Il libro sul sito dell’editore.
* La serie di Montalbano.
* Il sito della serie Rai dedicata a Montalbano.

 

[Incipit] La voce del violino

Che la giornata non sarebbe stata assolutamente cosa il commissario Salvo Montalbano se ne fece subito persuaso non appena raprì le persiane della càmmara da letto. Faceva ancora notte, per l’alba mancava perlomeno un’ora, però lo scuro era già meno fitto, bastevole a lasciar vedere il cielo coperto da dense nuvole d’acqua e, oltre la striscia chiara della spiaggia, il mare che pareva un cane pechinese. Dal giorno in cui un minuscolo cane di quella razza, tutto infiocchettato, dopo un furioso scaracchìo spacciato per abbaiare, gli aveva dolorosamente addentato un polpaccio, Montalbano chiamava così il mare quand’era agitato da folate brevi e fredde che provocavano miriadi di piccole onde sormontate da ridicoli pennacchi di schiuma. Il suo umore s’aggravò, visto e considerato che quello che doveva fare in matinata non era piacevole: partire per andare a un funerale.

Andrea Camilleri, La voce del violino, Sellerio, Palermo 1997. 209 pagine.

* Il sito di Camilleri.
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* Il libro sul sito dell’editore.
* La serie di Montalbano.
* Il sito della serie Rai dedicata a Montalbano.

[Incipit] L’odore della notte

La persiana della finestra spalancata sbattì tanto forte contro il muro che parse una pistolettata e Montalbano, che in quel priciso momento si stava sognando d’essiri impegnato in un conflitto a fuoco, s’arrisbigliò di colpo sudatizzo e, ‘nzemmula, agghiazzato dal friddo. Si susì santiando e corse a chiudere. Tirava una tramontana accussì gelida e determinata che, invece di ravvivare i colori della matinata, come sempre aveva fatto, stavolta se li portava via cancellandoli a metà e lasciandone le sinopie, o meglio, tracce splàpite come quelle di un acquerello dipinto da un dilettante in libera uscita domenicale. Evidentemente l’estate, che già da qualche giorno era trasuta in agonia, aveva addeciso durante la nottata di rendersi definitivamente defunta per lasciare posto alla stagione che veniva appresso e che avrebbe dovuto essere l’autunno. Avrebbe dovuto, perché in realtà, da come s’annunziava, questo autunno pareva già essere inverno e inverno profunno.

Andrea Camilleri, L’odore della notte, Sellerio, Palermo 1996. 221 pagine, 10 euro.

* Il sito di Camilleri.
* Camilleri su Wikipedia.
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* Il libro sul sito dell’editore.
* La serie di Montalbano.
* Il sito della serie Rai dedicata a Montalbano.

[Incipit] Un mese con Montalbano

LA LETTERA ANONIMA

Annibale Verruso ha scoperto che sua moglie gli mette le corna e vuole farla ammazzare. Se la cosa càpita, la responsabilità è vostra!

La lettera anonima, scritta a stampatello, con una biro nìvura, era partita da Montelusa genericamente indirizzata al Commissariato di Pubblica Sicurezza di Vigàta. L’ispettore Fazio, che era addetto a smistare la posta in arrivo, l’aveva letta e immediatamente consegnata al suo superiore, il commissario Salvo Montalbano. Il quale, quella matina, dato che tirava libeccio, era insitàto sull’agro, ce l’aveva a morte con se stesso e con l’universo criato.
«Chi minchia è questo Verruso?»
«Non lo saccio, dottore.»
«Cerca di saperlo e poi me lo vieni a contare.»

Due ore appresso Fazio s’appresentò nuovamente e, alla taliàta interrogativa di Montalbano, attaccò:
«Verruso Annibale di Carlo e di Castelli Filomena, nato a Montaperto il 3-6-1960, impiegato al Consorzio Agrario di Montelusa ma residente a Vigàta in via Alcide de Gasperi, numero civico 22…»
Il grosso elenco telefonico di Palermo e provincia, che casualmente si trovava sul tavolo del commissario, si sollevò in aria, traversò tutta la càmmara, andò a sbattere contro la parete di faccia facendo cadere il calannario gentilmente offerto dalla pasticceria “Pantano & Torregrossa”. Fazio pativa di quello che il commissario chiamava “il complesso dell’anagrafe”, una cosa che gli faceva venire il nirbùso macari col sereno, figurarsi quando tirava libeccio.
«Mi scusasse» fece Fazio andando a raccogliere l’elenco. «Lei mi faccia le domande che io le arrispondo.»
«Che tipo è?»
«Incensurato.»
Montalbano agguantò minacciosamente l’elenco telefonico.
«Fazio, te l’ho ripetuto cento volte. Incensurato non significa nenti di nenti. Ripeto: che tipo è?»
«Mi dicono un omo tranquillo, di scarsa parola e di poca amicizia.»
«Gioca? Beve? Fìmmine?»
«Non arrisulta.»
«Da quand’è che è maritato?»
«Da cinque anni. Con una di qua, Serena Peritore. Lei ha dieci anni meno di lui. Bella fìmmina, mi dicono.»
«Gli mette le corna?»
«Boh.»
«Gliele mette sì o no?»
«Se gliele mette è brava a non farlo capire. C’è chi dice una cosa e chi un’altra.»
«Hanno figli?»
«Nonsi. Dicono che è lei che non li vuole.»
Il commissario lo taliò ammirato.
«Come hai fatto a sapere macari queste cose intime?»
«Parlando, dal barbiere» fece Fazio passandosi una mano darrè la nuca rasata di fresco.
A Vigàta dunque il Salone era ancora il Gran Luogo d’Incontro, come ai vecchi tempi.
«Che facciamo?» spiò Fazio.
«Aspettiamo che l’ammazza e poi vediamo» disse Montalbano grèvio, congedandolo.

Andrea Camilleri, Un mese con Montalbano, Mondadori, Milano 1999. 355 pagine. 8,40 euro.

* Il sito di Camilleri.
* Camilleri su Wikipedia.
* Il sito del Camilleri Fans Club.
* Salvo Montalbano su Wikipedia.
* Un sito dedicato a Montalbano.
* Il sito della serie Rai dedicata a Montalbano.
* Il libro su Wikipedia.
* Il libro sul sito del Camilleri Fans Club, dove è possibile leggere alcuni racconti.